Il 26 Febbraio gli iraniani sono andati alle urne per eleggere i 290 membri del Parlamento e gli 88 dell’Assemblea degli Esperti.
Partiamo da una confessione: fino a un anno fa, questo avvenimento sarebbe stato per molte persone e per molti media privo di alcun interesse. Tutt'al più ne avrebbero parlato i giornali che si occupano di cronaca internazionale, ma relegando la notizia a quel piccolo angolo in fondo a destra, dove oggi si legge delle elezioni in Albania o Papua Nuova Guinea.
L'Iran, che - semplificando la vulgata corrente - è quel Paese ultra musulmano che odia l’Occidente, quello in cui devi indossare il velo anche se sei una turista e devi stare attento a quello che dici e quello che fai. L’Iran demonizzato, l’Iran sanzionato, l’Iran in cui vanno solo gli specialisti o coloro che lo amano a priori, l’Iran con cui nessuna nazione occidentale ha dialogato per molto tempo.
Colpa di quell’arma nucleare che forse ha, forse non ha; che forse vuole usare contro Israele, forse contro gli Stati Uniti. Colpa di quell’Ahmadinejad, che diceva che Israele sarebbe dovuta sparire dal planisfero e che gli Americani erano i “figli di Satana”.
Così l’Iran era, almeno ufficialmente, sparito dalla sfera di interesse popolare, nonostante sia uno dei maggiori produttori mondiali di gas e petrolio.
Ma dopo le elezioni del “moderato” Rohani nel 2013 e l’accordo sul nucleare firmato il 15 luglio scorso, ha ripreso ad attirare gli sguardi interessati dell’Occidente. Certamente qualcosa al suo interno è cambiato, ma poi nemmeno così tanto; non è di certo diventato un Paese democratico né liberale, e la sua società civile continua a soffrire delle stesse restrizioni del pre-Rohani, eppure la percezione esterna che si ha maturato dell’Iran è progressivamente cambiata dall’anno scorso. Si dice “percezione esterna”, ma s’intende per lo più “percezione occidentale”.
Anche se il Paese è amico di Putin e a noi Putin non dovrebbe piacere.
Anche se il Paese è amico di Assad e noi Assad non dovrebbe piacere, non troppo per lo meno.
E così l’Europa sopraffatta dai suoi problemi ha seguito la scia di Obama, che, da quando è stato rieletto nel 2012, sembra aver avuto in mente questo progetto: sganciarsi lentamente, ma non ancora definitivamente, da quell’Arabia Saudita che fa fare sempre più brutta figura (perché bombarda, perché le sue élite finanziano terroristi, perché finisce sulle prime pagine quando fa decapitare le persone, perché le donne non possono guidare, eccetera), e avvicinarsi all’altrettanto (se non di più) vantaggioso Iran.
Secondo Amnesty International l’Iran batte l’Arabia Saudita ed è secondo solo alla Cina nel campo delle condanne capitali, ma forse il fatto che impicchi e non decapiti, che sia sciita e quindi diverso da quelli dell’IS, che li combatta e non li finanzi, lo fa sembrare comunque un po’ più fidato e vicino a noi.
Per questo, in futuro Washington vorrà forse farne il nuovo gendarme régional del Medio Oriente.
Nell’attesa, ecco Rohani che arriva a Roma. Incontra Renzi, sorride, stringe mani, e le statue — si è poi capito di chi é stata l’iniziativa? — vengono persino coperte perché è sempre meglio non farli arrabbiare, i nuovi amici con cui si stringono accordi industriali per un valore di 15 miliardi di dollari.
Dentro questa nuova collaborazione tra Italia e Iran c’è un po’ di tutto: la Saipem (gruppo Eni) per la costruzione di gasdotti e l’ammodernamento di raffinerie, la Fincantieri per rifornire di locomotori il Paese, e persino le Ferrovie dello Stato, che tramite l’Italferr si occuperanno di portare assistenza tecnica in un progetto di costruzione di treni ad alta velocità in Iran.
Con tutti questi soldi e accordi in ballo, ma anche a seguito di una situazione siriana sempre più critica, che forse potrebbe avere un microscopica soluzione grazie all’accordo tra i vari schieramenti, interessarsi alle sorti del Paese diventa improvvisamente interessante, quasi inevitabile.
Per portare avanti le promesse fatte alla popolazione e non far svanire nel nulla l’apertura diplomatica ed economica verso l’Occidente, ottenuta con l’accordo sul nucleare e la fine delle sanzioni, Rohani deve avere un adeguato supporto dal Majlis, il parlamento iraniano; allo stesso tempo, l’Assemblea dei Rappresentanti menzionata all’inizio ha un’importanza fondamentale, poiché a essa spetta l’elezione della Guida Suprema iraniana, il successore dell’attuale — e probabilmente malato — Khamenei, nonché la figura istituzionale e religiosa più importante di tutto il Paese.
In questo contesto, la rinnovata attenzione verso l'Iran è scontata, ma chissà quanto durerà e a quale Paese sotto elezioni toccherà poi avere un’improvvisa importanza nei media.
Forse sarà davvero la volta della Papua Nuova Guinea.
Elle Ti
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