Perché nessuno se ne accorge?

Creato il 16 gennaio 2014 da Pedagogika2
Di Daniela Pia - 14-01-2014Laura (la chiamerò così): istituto professionale, un metro e quaranta per trentacinque chili. Stamane mentre mi accingevo a uscire dall'aula Laura mi ha consegnato di straforo un foglio protocollo a quadretti: «se vuole leggerlo professoressa» mi ha detto. Dalle prime righe ho intuito l'urlo e prima di custodirlo fra le pagine della mia agenda le ho chiesto di scriverci sopra il numero di cellulare. Mi ha chiesto «perché?» e le ho detto «per poterti rispondere subito». Tornata a casa ho trascurato ogni altra attività e ho iniziato a leggere: 
«Perché nessuno se ne accorge? Voglio dire, passiamo 9 mesi a scuola, cinque giorni a settimana, per cinque ore. Ci guardate in faccia, ci chiedete "Come va?", ci interrogate e ci stressate. Per quanto alcuni professori ci capiscano, nessuno guarda mai oltre la facciata. Stiamo morendo dentro, cari professori. Moriamo dentro perché viviamo in una società in cui le cose materiali importano più delle opinioni. Viviamo in città in cui se non sei vestito firmato e hai interessi diversi dalla discoteca, sei considerato un poveraccio. Vorrei tanto che, per una volta, apriste gli occhi: guardando in prima fila vedrete una ragazza che, per colpa delle malelingue ha rischiato seriamente di finire anoressica. Guardate per terra e troverete l'alunna più brava e intelligente della classe che, con la scusa della dieta, non riesce a smettere di perdere chili. Guardate nell'ultima e scoprirete una ragazza che ha un disperato bisogno di comprensione per essere salvata. Guardatela bene e forse noterete i graffi sul braccio, gli occhi spenti, la paura di non valere abbastanza, di deludere i propri genitori, di restare sola.
Perché è questo che siamo: una generazione impaurita e fragile, di cui nessuno si occupa.
Perché farlo? Ci insegnate il francese, l'inglese, la matematica. Ma chi si occupa di insegnarci come affrontare quelle che per noi sono le vere difficoltà? Chi si è mai fermato un attimo a pensare se uno dei suoi studenti ha tentato il suicidio? Io me lo chiedo ogni giorno se uno dei miei compagni ci ha provato.
Aprite gli occhi: che senso hanno tutti i progetti sul "fumo dannoso" quando quelli come me non sanno nemmeno se arriveranno a domani?
Guardatemi, non ho paura di qualcosa che potrebbe farmi venire un tumore. Ho paura di non svegliarmi domattina perché qualcosa è andato storto oggi.
Perché vi comportate come se queste fossero solo favole?
"L'autolesionismo è per quei ragazzi che vengono chiamati Emo", "L'anoressia può essere fermata".
Siamo adulti? Parliamo seriamente. Son cose serie. L' autolesionismo non è così semplice, così come non lo sono i disturbi alimentari.
Cari professori, vi invito a fare un giro nella mia testa.
Tenetevi forte, perché vi farà paura: è quasi tutto buio. I mostri divorano la mia autostima, la mia speranza, la mia vita».

Ho avuto bisogno di tempo, di nuvole e spazio, di silenzio e vuoto, ho dovuto sgombrare le incombenze e accogliere la donna in miniatura che cercava il contatto. Mi sono chiesta: questo è un deserto cui manca l'acqua o è un terreno fertile nel quale piantare semi che producano fiori? Chi sono i giardinieri? Quali gli strumenti? Dove i medicamenti? Questo che viene invocato è un (nostro) lavoro? Se lo si racconta verrà percepito come finzione? Quanto tempo occorrerà per occuparsene? Si può fare contemporaneamente al "Dolce stil novo"? Può togliere tempo alla lotta fra papato e impero? Come lo valuterà l'Invalsi? Quale prezzo dovrà pagare chi se ne prenderà cura? Come corazzarsi per non ammalarsi ? Come quantificare la disponibilità a prendersi cura del «male di vivere» che attanaglia queste creature che sono i nostri studenti, figlie e figli?
 ......
Non mi sento in grado di azzardare risposte.
L'unica risposta alla quale sento di dover rivolgere la mia attenzione ora è quella che rivolgerò a Laura: «Carissima fanciulla con le gambe sempre ripiegate dentro la sedia, affinché non si noti che non toccano terra da sedie minuscole, vorrei saperti dire che lo sguardo che ti rivolgo non è solo quello del docente. Vorrei che tu sapessi che ci sono occhi capaci di afferrare la bellezza del tuo volto, delle parole che hai saputo scrivere. Mani che sanno maneggiare il cristallo dei tuoi dolori e sanare le ferite dei tuoi compagni. Vorrei poterti offrire la bellezza di ciò che non è sfiorato dalle mani degli esseri umani. Ciò che per le donne e gli uomini che sarete diverrà balsamo: luci e ombre; fiato e albe; tramonti e sospiri. So che non saranno le mie parole a darti tregua, così come so che dovrai toccare le cicatrici, sfiorare il cordone che è stato sangue, ricordare che quello è stato. Dovrai appuntarti sul petto la medaglia dei sopravvissuti alle angosce continue per darti le risposte che chiedi a noi. Solo così saprai riconoscere quali semi sono stati seminati. Quali occhi vi hanno osservato. Quali pensieri hanno accompagnato le pose che hai assunto. So che, nel tempo, troverai le risposte e saprai riconoscere la malinconia che si è compiuta nei cocci che hai creduto di aver seminato per prima e che hanno già dato raccolto. Questa è la strada Laura. Fatta di trincee, Noia sublime, pause e libri. Bagagli di parole e vite precedenti dove ci incontriamo. Insegnanti e studenti».
Fonte:http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=16812 Vorrei aggiungere una mia personale riflessione.Laura ha urlato per chiedere aiuto, ha agito per far arrivare alla prof.il suo messaggio e quello dei suoi coetanei, probabilmente ha visto nella prof. un qualcosa che le ha fatto pensare che avrebbe capito. L'urlo di Laura è l'urlo di una generazione che non ha un interlocutore. E così la sua mente è in un vortice di pensieri più brutti che buoni, e qualcuno oserebbe rispondere "E' l'adolescenza!". No signori, mamme e papà, nonni ed insegnanti è una situazione esistenziale, è un mondo che non si cura del suo futuro immersa in un eterno presente. Lo dice bene Laura, l'apparenza, il possesso di uno status symbol è più importante dell'essere, dell'essere una persona in crescita che come tale ha bisogno di sostegno, cura e qualche carezza, magari. Ma qui si evince il fallimento non solo della società in senso lato, ma della società educante per eccellenza -La Scuola- la stessa prof. pur sconvolta si chiede: Quanto tempo occorrerà per occuparsene? Si può fare contemporaneamente al "Dolce stil novo"? Può togliere tempo alla lotta fra papato e impero? Come lo valuterà l'Invalsi? Quale prezzo dovrà pagare chi se ne prenderà cura? Come corazzarsi per non ammalarsi ? Come quantificare la disponibilità a prendersi cura del «male di vivere» che attanaglia queste creature che sono i nostri studenti, figlie e figli? Come si vede anche la prof. è vittima del sistema, un sistema che ha sostituito la mera didattica alla pedagogia, un sistema dove si parla in termini di "progetto" come notava bene Laura. Questi progetti non possono portare a niente se non sono contestualizzati in un percorso di crescita e formazione, ma per diventare quello che potenzialmente già sono, i ragazzi hanno bisogno di tempo, cura, fiducia, stima, non di "quantificare"(come dice la prof., non degli Invalsi, non dei soliti numeri che non dicono niente. Un numero quantifica solo una performance ( e tra l'altro molte quantificazioni sono più legate a personalissime simpatie che oggettive valutazioni) non mi dice niente sulla Persona. I ragazzi vanno sostenuti perché la crescita ha bisogno di tempo, la scuola ha come compito primario "la formazione dell'uomo e del cittadino" ma in molti lo scordano e, più che un'agenzia di formazione sembra si sia trasformata in una fabbrica di saponette.S.F.

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