Un titolo, quello di questo post, che magari non vi aspettavate. Non da me, che dell’autopubblicazione ho fatto una specie di marchio di fabbrica.
Vediamo di spiegare un po’ meglio quel che intendo dire.
Innanzitutto parto con una premessa: come sapete io non sono interessato all’editoria tradizionale. Il che vuol dire che non m’interessa inviare manoscritti, tantomeno a case editrici che si offrono di editarmi/pubblicarmi a “prezzi concorrenziali”. Tuttavia non ho mai sostenuto né mai sosterrò che questa mia scelta è la migliore in assoluto. Né mi sento di spingervi a emularmi. Sono percorsi molto personali e non mi va di fare il guru di nessuno. Anche perché da queste parti i guru li prendiamo a badilate in testa, dal tanto che ci stanno simpatici.
Tra l’altro questa scelta l’ho fatta già dai tempi in cui portali come Simplicissimus non esistevano nemmeno a livello concettuale. Chi mi segue fin dal 2007 sa che è così, gli altri si informino, oppure credano alla versione che preferiscono, tanto tutto è relativo. Di proposte editoriali ne ho rifiutate alcune e , alla fin fine, non mi sono mai pentito.
Bene, detto questo, parlavamo di autopubblicazione.
Già, l’autopubblicazione… un altro dei grandi mali del secolo, a sentire certa gente. Uno dei cavalieri dell’Apocalisse, insieme agli eBook, ad Amazon e ai blog. “Autopubblicare immette una quantità immane di merda sul mercato, si ammazzano i veri professionisti, si abbassano i prezzi degli ebook” (che invece, notoriamente, sono venduti equamente dai nostri editori), etc etc.
Una marea di accuse su cui sarebbe pure interessante discutere, se non fosse che molti preferiscono pronunciare fatwa, ridere di chi si autopubblica, facendo di tutta l’erba un fascio: “con questo sistema ogni sfigato senza qualità potrà comunque pubblicare il suo romanzo“. Questo è più o meno il sunto del pensiero altrui.
Obiezione che non è nemmeno del tutto campata in aria. Basta guardare alcune autoproduzioni messe in vendita su Amazon, per tacere de “Ilmiolibro”, per intuire un livello basso che più basso non si può.
Sarà però che io vivo nell’illusione che gli esseri umani siano in fondo capaci di discernimento. Sarà per il mio background di darwinista. Sarà che se uno è un incapace cronico verrà presto stroncato e finirà nel dimenticatoio. Beh, insomma, saranno tutti questi fattori, ma sono abbastanza convinto che la selezione naturale farà un lavoro migliore rispetto alla nostra editoria tradizionale, che comunque immette settimanalmente una notevole quantità di liquame immondo sul mercato. In altre parole: i bravi emergeranno, gli scarsi verranno dimenticati.
Nel bel mezzo rimarranno invece tutti quegli struzzi starnazzanti che gettano badilate di letame alla cieca, citando all’infinito manuali e regole che a quanto pare interessano solo a loro. Gente così brava, ma così brava, che dopo anni che presenziano in Rete non ci hanno ancora fatto leggere nulla di loro, se non articoletti sarcastici pieni di orripilanti espressioni mutuate dal gergo internettiano dei sedicenni americani. Se mi facessero pena vi chiederei di recitare una preghiera per questi sventurati, invece andiamo semplicemente oltre.
Sono infatti ancora off-topic rispetto al titolo, e siamo già a 400 parole d’articolo. Quindi cercherò di farla breve: penso che d’ora in poi pubblicherò tutti i miei ebook col sistema sperimentato per La Nave dei folli. Il che vuol dire: ebook scaricabile gratuitamente ed eventuale, non obbligatoria donazione spontanea a fine lettura tramite PayPal.
I risultati incoraggianti, di cui ho parlato già qui, mi hanno fatto propendere per questa scelta. Dopo il post che vi ho appena linkato ho ricevuto altre donazioni per il romanzo, tanto che alla fine posso affermare tranquillamente di aver ricavato più consensi (anche monetari, diciamo le cose come stanno) rispetto a Scene Selezionate della Pandemia Gialla, ebook molto più pubblicizzato e venduto lo scorso anno sulla piattaforma Simplicissimus.
Intendiamoci: si tratta pur sempre di cifre simboliche, che mettono insieme due o tre cene in una pizzeria di buon livello, con l’aggiunta di dolce, amaro e caffè.
Per quel che mi riguarda credo di aver individuato nel rapporto diretto coi lettori una chiave interessante del discorso autopubblicazione. Gestendo tutto tramite blog, e non su un enorme, anonimo portale in cui un ebook si confonde con altre centinaia, ho la possibilità di presentare meglio i miei lavori, di creare il giusto hype, ma anche un filo diretto con chi ha domande da fare in merito alle storie proposte o al making of delle medesime. Ovviamente questa proposta di dialogo non è rivolta a chi puntualmente insulta, a chi non conosce l’educazione e a chi crede che il modo migliore per rivolgersi a qualcuno sia trattarlo come un minus habens. La critica, anche severa, l’ho sempre accettata. I coglioni saccenti e incivili, no.
Credo che la personalizzazione del proprio lavoro, non solo come scrittore bensì anche come “autoeditore”, sia una strada ancora poco battuta ma dal potenziale notevole.
In un mondo, quello dei media digitali, che offre sempre più contenuti e sempre meno contatto diretto tra artista (quando odio questa parola) ed usufruitore, il blog si pone come ottimo interlocutore tra le due parti in causa.
O almeno così mi pare.