Perchè non lo è

Creato il 26 ottobre 2013 da Davideciaccia @FailCaffe

In risposta all’articolo di Vice “perchè Londra è la città peggiore del mondo” !

di Alice Todesco

Ti trovi nel caotico aereoporto di una grande città industriale. Diciamo che non è nemmeno la tua città, ma che per arrivarci hai dovuto prendere un autobus, e per arrivare all’autobus un treno, e che al treno ci sei arrivato, faccio per dire, diciamo che al treno ci sei arrivato in  macchina. Insomma, dopo lunghi pellegrinaggi, sei finalmente arrivato in questo grande aeroporto, e te ne stai tutto fischiettante ad ammirare da fuori quel capolavoro di architettura post-moderna. Entri e ti viene un pò di fame, così ti trovi un posticino che t’ispiri familiarità, ti ci pianti con un libro o una rivista, ma ti rendi subito conto che il panino di solito non arriva da solo, e ti alzi per ordinarlo. Osservi la vetrina piena di focaccie, imbottiti, toast e pizze, e scegli quello che più si adatta alla tua fame. Poi prendi l’acqua da frigo (che, come in ogni aeroporto che si rispetti, è self service), e ti siedi finalmente ad aspettare il tuo panino con un libro (sì dai, facciamo che è un libro) tra le mani. E ti senti subito meglio. Lascia a casa le stressanti preoccupazioni della vita quotidiana and throw youself on the airplane, man: you’re going to London!

Preso il tuo panino e fatto il check in (dove ti hanno pure fatto togliere le scarpe che cavolo ogni volta ti dici che ci devi pensare e metterti quelle di gomma e puntualmente ti dimentichi e ti tocca girare in mezzo a uno sproposito di poliziotti con le calze di babbo natale che ti ha regalato la donna delle pulizie di casa dei tuoi l’altr’anno), e vieni catapultato in quello che più che un aeroporto sembra essere diventato un centro commerciale. Tutto intorno a te troneggiano insegne di tutti i  tipi, per tutti i gusti, luminose e non, al neon o con una delicata luce soffusa, che millantano infinite promesse di felicità materiale. Ma tu sei superiore e passi oltre, anche se un’occhiata alla vetrina dei cibi tipici del duty free non la si nega mai. Camminando con il naso per aria alla disperata ricerca del tuo gate, che è naturalmente l’ultimo gate dell’ultima serie di gate dell’ala b piano 5, i tuoi occhi vengono catturati da un cartellone rosa che si trova proprio affianco all’indicazione del prossimo ascensore che dovrai prendere. Dice: “le spese in aeroporto non contano come bagaglio. Sbizzarrisciti negli acquisti pre-partenza!”. E tu rimani lì, col tuo naso per aria, a pensare che accidenti, a saperlo prima, quell’olio alla vetrina del duty free… ma non è il momento ora, ora la tua missione è trovare il gate. Facciamo un piccolo salto, e sorvoliamo (bello il gioco di parole, eh?) sorvoliamo, sì, sul viaggio in aereo e sulle hostess e sugli stuart, che tanto un volo è sempre un volo, ed è noioso per tutti. Soprattutto se un paio di sedili più in là c’è una coppia giovane che trova assolutamente adorabile lo strillare del proprio bambino, e tu, che i bambini li hai sempre amati, per la prima volta nella tua vita senti l’impulso di aprire lo sportellone e buttarlo fuori dall’aereo. Sono giovani, pensi, se ne faranno una ragione.

Insomma, sorvolando su tutto questo, arriviamo alla parte succosa: il tuo arrivo a Londra. Ah no, aspetta. Sei arrivato in quell’aeroporto un pò fuori città, quello da cui passano i voli low cost, quindi per arrivare a Londra devi prendere un treno, o un autobus. Ecco, sì, meglio se prendi l’autobus, che ci mette un po’ di più ma costa meno. Dopo il viaggio in autobus, che è seguito a quello in aereo, che è stato frutto di un viaggio su un altro autobus, a cui sei arrivato in treno, a cui ti ha portato il tuo amico in macchina, che al mercato mio padre comprò, eccoti nella sfavillante metropoli delle minigonne, con tutte le sue insegne luminose, che lo shopping centre dell’aeroporto ci fa un baffo, che cerchi di raccapezzarti in quel complicato sistema di trasporti per arrivare a casa degli amici che ti ospitano. Eh sì perchè, di questi tempi, tutti ce l’hanno a Londra un amico che li ospita. E’ la nuova frontiera, come il muro a piastrelle negli anni 90. Insomma, per quanto chiara e colorata sia quella mappa che tappezza in lungo e in largo le strade londinesi, tu non ti ci trovi proprio, e ti costringi a chiamare il tuo amico, sicuro come sei che ti prenderà in giro per il resto dei tuoi giorni perchè, amico, ti dirà, quella mappa la capirebbe pure un bambino. Questi maledetti turisti.

Insomma, lo chiami. E lui ti dà appuntamento in quella piazza enorme, che conoscono tutti, quella che non ti puoi sbagliare, che è inconfondibile, che è il primo posto in cui sei andato a otto anni quando sei andato a Londra con i tuoi. Ma le luci e le strade infinite di quel minestrone urbano ti confondono e ti disorientano, e persino quella piazza inconfondibile comincia a sembrarti introvabile. Ma pensi che no, per nessuna ragione ti abbasserai a chiedere informazioni. L’uomo non deve chiedere mai, pensi, è una questione d’orgoglio. E poi tu l’inglese non lo parli. Non è che lo parli male, la tua professoressa del liceo diceva pure che avevi una buona pronuncia, è che tu proprio non lo parli per principio. L’inglese ti sta qua. Con tutte le loro seghe sulla polite culture e la pronunciation e la regina e le navi e Shakespeare, che poi non sai mai bene come si scrive, e tutti quei ponti con quelle torri che non si capisce cosa ci stiano a fare. Infatti, tu nemmeno ci volevi andare a Londra, tu volevi andare in un posto esotico, chessò, in Turchia, ma in Turchia non conosci nessuno, mentre lì, a Londra dico, c’è quel tuo amico, quello della nuova frontiera, quello che è come il muro a piastrelle negli anni 90. Insomma, per farla breve, questa disperata ricerca della piazza promessa ti sta smontando non poco, e ti sembra di essere in uno di quei film semi-indipendenti tratti da una storia vera, in cui si racconta di gente morta, scomparsa o sopravvissuta per miracolo alle situazioni più assurde. E proprio mentre ti stai già immaginando di finire in qualche vicolo buio, nelle mani di trafficanti d’organi (ultimamente le tue fantasie sono un po’ splatter), proprio in quel momento, dicevo, eccola lì, Leicester Square, in tutto il suo splendore kitsch. Con poca difficoltà riconosci il tuo amico nella folla, e, dopo qualche convenevole, vai con lui alla più vicina stazione della metro. E mentre sei lì, mezzo stremato, che ti chiedi macchimelhafattofare, in un impeto nevrotico ti pianti in mezzo alla strada, parcheggi il culo sullo zaino, e dichiari al tuo amico che non ti muoverai di lì finchè lui non ti dirà cosa gli piace tanto di quella città che ti ha centrifugato tutto il giorno.

E allora lui, con tutta naturalezza, ti risponde, più o meno, così:”Per i jazz club, per le luci luminose, per le torri sui ponti che ogni volta ti chiedi a che cavolo serviranno, per il Tamigi che dice Dickens che puzzava di morte, ma adesso ti sembra un po’ meno, per il teatro di Shakespeare, che poi non capirò mai bene come si scrive, perchè ci parlano l’inglese, e il tedesco, e l’italiano, e il francese, e l’arabo, e quasi tutte le lingue del mondo, perchè i treni vanno ovunque, per gli occhi di quella ragazza che ho visto in metropolitana, perchè in mezzo a così tanta gente qualcuno di buono lo trovi per forza, perchè Eliot la odia, e io lo odio Eliot, perchè sono cresciuto in una cittadina di provincia, per i parchi con più persone che fili d’erba, perchè è una donna che di notte ancora ha la forza di agghindarsi tutta per te, perchè a Soho c’è la statua di Freddy Mercury, perchè a Londra tutto arriva prima, anche la posta, anche il rock ‘n’ roll, perchè ci arrivano i voli low cost, perchè i poeti e le poesie, e gli scrittori e i romanzi, e i musicisti e la musica, perchè io l’inglese, per principio, non lo sopporto, eppure qui c’è così tanto da ascoltare che l’ho imparato, perchè dicono che chi è stanco di Londra è stanco della vita, e a me la vita piace, ma soprattutto perchè tra tutti questi re e questi buffoni, tra i monumenti e i grattacieli, tra le regine dei palazzi e quelle delle strade, in questo enorme ed eterno ossimoro, chiunque può trovare il suo posto”.

E tu, come un Govinda che ha appena visto il fluire della vita sul volto del suo maestro, ti alzi, ti infili lo zaino, e lo segui. Throw yourself on the train, man. You’re in London.


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