Perché piango sempre alla fine di Matrimonio all'italiana...

Creato il 03 marzo 2016 da Ramonagranato

Marcello Mastroianni e Sophia Loren, il loro è un matrimonio all'italiana. Almeno sullo schermo [fonte foto].


Le emozioni che ci dona un film possono esaurirsi? E se sì, dopo quante visioni accade?
Me lo sono chiesta mentre mi asciugavo gli occhi dopo aver visto per la millesima volta "Matrimonio all'italiana".
Non ricordo esattamente quando l'ho visto per la prima volta, ma so per certo che anche allora ho pianto, sempre nello stesso momento, con la stessa scena.
Per chi non lo sapesse, "Matrimonio all'italiana" è il film che Vittorio De Sica, nel 1964, trasse dall'opera teatrale di Eduardo De Filippo "Filumena Marturano" e i ruoli che furono di Eduardo e di sua sorella Titina diventarono di Sophia Loren e di Marcello Mastroianni. Quando ho visto il film  la prima volta, non conoscevo la magnificenza dell'opera originale né la maestria degli attori che ne rivestivano i ruoli, ma ne ho sempre percepito la straordinaria forza, che mi ispirava una sorta di stupore riverente.

Vittorio De Sica (a sinistra) con Sophia Loren e Marcello Mastroianni [fonte foto].

La storia, come dice la stessa Filumena, è quella più vecchia del mondo: una prostituta si innamora di un uomo ricco che non la sposa ma non la lascia andare. Passano gli anni e lei, ad un certo punto, spinta dall'ennesimo tradimento di lui, gli confessa di avere tre figli e che solo uno di quelli è suo figlio. Sarebbe una storia semplicemente complicata se i personaggi creati da Eduardo non possedessero la profondità e la grandezza dell'abisso in cui l'animo umano può sprofondare e risorgere.

Gli occhi innamorati con cui Filumena/Sophia guarda Domenico/Marcello. E quell'amore lo sentiamo anche noi!

Mimi, lo sai quando si piange? Quando si conosce il bene e non si può avere.
E io bene non ne conosco: la soddisfazione di piangere non l'ho mai potuta ave'.
Ogni volta che rivedo "Matrimonio all'italiana" ci colgo nuove sfumature, nuovi significati a ogni sguardo, a ogni sottinteso. Perché oltre alla storia d'amore di Filumena Marturano e Domenico Soriano - sì, non si tratta di nient'altro che amore -, c'è la storia di Napoli, di quella povertà così nera e soffocante che portava a trovare qualsiasi soluzione per sfuggirle; c'è la storia di quei figli abbandonati che sognavano una famiglia e che qui trovano rivendicazione. C'è la storia di una cultura così radicata che difficilmente riuscirei a dipanare il bandolo della matassa per spiegarvi da dove viene e in quale punto esatto di questo film si manifesta.

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La drammaticità della storia, però, non impedisce al suo creatore di sognare un lieto fine che sciolga l'amaro in un dolce così aspro che, puntualmente, mi fa versare lacrime a fiumi.
Buongiorno, papà.
Bastano queste due parole per dirmi che non c'è niente che, alla fine, nonostante la sofferenza, non possa aggiustarsi. Era il sogno di Eduardo che diventa il sogno di De Sica, che vi pone l'accento in maniera tale che per un attimo, per un attimo solo, tutta Napoli si zittisca in attesa.

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Non so spiegare perché mi piaccia tanto questo film e forse non mi importa molto. Come per tutte le cose belle che ci fanno stare bene anche solo per un attimo, non c'è bisogno di trovare tante spiegazioni.
E anche io, come Filumena, alla fine mi sento libera di piangere e di trovare in quelle lacrime una felicità inaspettata.
Sto chiagnenno, Dummi'... E quanto è bello chiagnere!

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