Foto di Jaime González
PERCHÉ SCRIVO? – La rubrica dedicata ai perché della scrittura
Antonio Moresco
Perché uno scrive? Sembra osceno che uno scriva per dire a delle altre persone “ecco, io ti riconfermo la tua immagine illusoria del mondo e sulla base di questa cosa cerco la complicità al ribasso, con te lettore…”, mi sembra vergognoso, ignobile, lo scrittore collabora col male se fa un a cosa di questo genere! E allora il fatto di sfondare, di oltrepassare, ma anche di traboccamento torna nelle cose che scrivo. È l’unico modo per far sì che attraverso la cruna della letteratura possa passare qualcosa di grosso.
Quello che abbiamo detto come specie umana è tutto il dicibile? Ma è una cosa che fa ridere! E allora io perché scrivo? Devo scrivere per riconfermare le persone nella loro paurosa idea del mondo, oppure devo accettare anche il dramma, la lacerazione di andare verso qualcosa che mi oltrepassa e che magari mi porta alla catastrofe? Se no non me ne sarebbe fregato niente di scrivere, non avrei scritto niente… Insomma, io ho avuto una grande ribellione nei confronti di questa maniera di leggere il mondo e di questa funzione dello scrittore che diventa un piccolo, povero cane da guardia dell’esistente, o meglio della convenzione dell’esistente, e non son riuscito a starci dentro.
Per me scrivere… io non mi sento una figura sociale, “lo scrittore” non è come “il professore”, “il preside”, “il bidello”. Il mio scrivere addirittura è fuori e contro la società. Sta in una dimensione diversa, dove siamo noi tutti anche se non sappiamo di esserci. A me interessa scrivere in questa maniera, io non mi sento uno a cui è stato dato il permesso di scrivere. Per me lo scrittore è la figura di un ribelle, un ribelle a “trecentosessanta gradi”.
Certe volte qualcuno mi chiede a quale tipo di lettore io mi rivolga. Io non penso a nessun tipo di lettore, non perché mi ritenga in qualche modo migliore di lui per poterlo disprezzare, ma perché se io penso a un pubblico, cercando il minimo comune denominatore, in realtà mi comporto come l’editore che in questo modo crea un’idea mistificante delle potenzialità presenti in ogni singolo lettore. Allora si diventa cinici e io non lo sono e non posso diventarlo, uno scrittore non può essere cinico.
Estratti da interviste ad Antonio Moresco (Café Boheme, 2014; Gabriele Bacci, UniInfoNews, 2015; Oscar Alicicco, Oblique Studio, 2010).
Antonio Moresco è nato a Mantova nel 1947 e vive a Milano. La sua “storia” di scrittore è contrassegnata dall’attesa di pubblicare. A quarantasei anni ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti Clandestinità per Bollati Boringhieri. Ha impiegato più di trent’anni per scrivere i tre romanzi Gli esordi, Canti del Caos, Gli increati (oggi tutti pubblicati da Mondadori). È stato uno dei pionieri del web letterario – sua l’idea di Nazione Indiana prima e de Il Primo Amore poi. La sua vita è stata segnata dalla lotta (a livello politico con una lunghissima militanza nella sinistra extraparlamentare, a livello letterario contro Calvino e Pasolini, e poi lotta contro un mondo editoriale che per molti anni non ha riconosciuto la sua voce). Dopo una lunga gavetta ha finalmente conquistato il riconoscimento: è autore Mondadori, è stato ospite della televisione, è seguito da moltissimi giovani.
Il nome di Antonio Moresco comparirà nei manuali di letteratura dei nostri figli secondo il sondaggio realizzato dalla rivista «Orlando Esplorazioni» dedicato ai “venerati maestri” della generazione di scrittori che oggi hanno tra 50 e 70 anni. I curatori Paolo Di Paolo e Giacomo Raccis hanno interpellato critici e lettori esperti tra i 20 e i 40 anni chiedendo loro di rispondere con tre nomi alla domanda: chi, tra i 50-60enni di oggi, continueremo a leggere in futuro?