Ciò che vado combattendo è l’inconsapevolezza generalizzata delle persone. Soggetti anche intelligenti in senso tecnico (bravi negli studi e nei test logico-matematici) che tuttavia si perdono nel classico bicchier d’acqua quando si tratta di applicare semplici regole di buonsenso alla vita quotidiana.
Bene, veniamo al succo della questione.
Perché affermo che andare in moto in gruppo è un qualcosa di tendenzialmente negativo?
Per due motivi:
1) perché l’essere umano apprende prevalentemente per imitazione;
2) perché siamo tutti diversi e ognuno di noi deve trovare il proprio modo personale di fare le cose.
Apprendere per imitazione: vantaggi e svantaggi
Il vantaggio dell’assorbimento per imitazione è palese: in poco tempo si possono apprendere molte cose importanti.
Lo svantaggio è ugualmente ovvio: altrettanto rapidamente si possono fare propri concetti controproducenti.
Trovo tristissimo che il processo di imitazione venga messo in atto da individui adulti. In questi frangenti viene completamente meno la coscienza individuale e non vedo alcuna differenza tra un essere umano ed un qualsiasi altro animale che popola il nostro pianeta.
Ognuno segue percorsi diversi e giunge a conclusioni differenti
Giungere a conclusioni differenti non significa necessariamente che qualcuno stia sbagliando. Io sono arrivato a fare il motoviaggiatore partendo dalle moto sportive e passando per gli scooter. Altri possono partire dalle moto da fuoristrada per arrivare a quelle sportive. Siamo tutti diversi, fortunatamente.
Per potersi migliorare bisogna innanzitutto partire nel modo giusto
Come si applica il discorso riguardante le diversità individuali all’andare in moto? La trattazione va divisa in due parti, la prima riguarda l’imparare ad andare in moto e la seconda concerne il modo in cui ognuno di noi vive soggettivamente l’andare in moto.
Si può apprendere per imitazione o per ragionamento. Coloro che possono godere di un esempio positivo da imitare sono pochi eletti, mentre tutti gli altri rischiano di ritrovarsi inconsapevolmente ad imitare un modello negativo.
Che ci piaccia o no, nei gruppi di motociclisti prevale l’inconsapevolezza. Il fatto stesso di avvertire il bisogno di fare parte di un gruppo mi pare un punto di partenza discutibile. Il gruppo rappresenta la negazione dell’individualità. Il gruppo si basa sull’imitazione reciproca ed è per definizione un qualcosa di statico (in termini evolutivi), finalizzato a mantenere lo status quo. Non c’è possibilità di miglioramento all’interno di un gruppo. C’è un aforisma che recita più o meno così: quando tutti pensano la stessa cosa, nessuno sta pensando molto.
Quando una persona non sa andare in moto, succede che essa fatichi a distinguere fra esempi di guida positivi e negativi. Quello che accade in tali frangenti è che spesso il modello deleterio, o comunque tendenzialmente negativo, diventa il modello da copiare.
E la competizione dove la mettiamo?
Lo ribadisco in quasi tutti gli articoli e lo ripeto anche qui: se avete la velocità nel sangue, se siete in cerca di adrenalina, lasciate perdere la guida stradale! Inoltre, quando si crea il senso di competizione fra i membri di un gruppo motociclistico, la linea che separa la gioia dal dolore diventa molto sottile. La negatività prende il sopravvento e in men che non si dica vi ritrovate a compiere manovre stupide e rischiose per riuscire a mantenere il passo degli altri.
Ne vale davvero la pena?
Come nasce la consapevolezza alla guida?
A mio parere un neofita non dovrebbe usare la moto in comitiva poiché nei gruppi si verifica un processo di simulazione nello stile di guida. Si mette la coscienza in stand-by e si imita in tempo reale ciò che fanno i motociclisti davanti a noi.
Peccato che la guida sicura consista in un continuo lavoro di analisi delle variabili in gioco. Se la coscienza è spenta ciò non può essere fatto.
Il neofita in fase di apprendimento deve ancora sviluppare uno stile di guida proprio, di conseguenza non possiede una visione d’insieme. Quando io non so fare una cosa, la studio. Quando devo passare alla pratica e mi trovo in difficoltà, chiedo consiglio al maggior numero di persone possibile (oltre a cercare informazioni nei libri e su internet). Poi analizzo i vari punti di vista e mi chiedo cosa si possa acquisire da ognuno di essi. Se mi sembrano tutti sbagliati, cerco di arrivare a sviluppare una mia visione personale procedendo per antitesi.
Esempio: qualcuno mi dice che sorpassare nei centri abitati è cosa buona e anzi necessaria. Qualcun altro mi dice che il sorpasso nei centri abitati va bene solo in certi casi. Il codice della strada mi dice che è vietato farlo. Bene, a questo punto mi domando quali conseguenze possa provocare il sorpasso nei centri abitati. Osservo chi lo fa e analizzo i rischi ai quali esso si espone. Mi chiedo se in determinati contesti sia possibile farlo senza incorrere in grossi pericoli o se sia meglio evitarlo e basta. Poi mi domando come mai il codice della strada lo vieti in maniera così netta. Cerco dati sugli incidenti stradali e mi adopero per capire quanti di essi siano legati a questa pratica.
Proseguendo con la pratica aggiungerò nuove variabili ed informazioni al mio sistema di pensiero, rendendolo via via più flessibile. Ad un certo punto mi accorgerò che una stessa situazione può essere affrontata in varie maniere, pertanto sceglierò quella più corretta sulla base degli input ricevuti in tempo reale.
Esempio: dopo anni di viaggi in moto credo di saper riconoscere piuttosto velocemente i diversi tipi di asfalto (sporchi, scivolosi, umidi, lisci, drenanti ecc). Tale consapevolezza mi permette di adattare la mia andatura al contesto senza crearmi inutili paranoie.
Questo è il processo di costruzione della consapevolezza. In una parola: ragionare.
Partire dalla pratica per affinare la teoria
la teoria è sbagliata.
Se tante persone affermano che la velocità elevata non provoca incidenti (la teoria), ma le statistiche (la pratica) dicono che la velocità eccessiva è co-responsabile della maggior parte degli incidenti, la conclusione corretta mi pare tutto sommato ovvia: la velocità elevata è deleteria.
Dal mio punto di vista c’è un solo modo per crearsi teorie valide ed efficaci:
fare tanta esperienza sul campo riflettendoci sopra prima, durante e dopo.
Questo è il mio modo di ragionare e di andare in moto. Potete non essere d’accordo, ma non scartatelo a priori.
Certo, ma per quanto riguarda i motociclisti più esperti?
Se parliamo invece di motociclisti più esperti il discorso varia. Io stesso ho fatto qualche uscita in gruppo in passato. Avevo già una mia consapevolezza alla guida, le mie idee, quindi ho vissuto il tutto con occhi diversi rispetto ad un centauro alle prime armi.
Oppure: <<che senso ha sorpassare le auto di continuo quando c’è tanto traffico? Ne sorpassi una, due, tre, dieci, cento, ma alla fine non vai da nessuna parte!>>.
Non voglio dunque trasmettervi il concetto che viaggiare in gruppo sia sbagliato a priori! Tantissima gente non concepisce neppure l’andare in moto in solitaria, lo so bene. Sono perfettamente consapevole di questo e sono qui a dirvi banalmente che esistono tanti modi di andare in moto e che il vostro, così come il mio, non è l’unico e forse nemmeno il più appagante. A me piace sperimentare cose nuove e nuovi modi di pensare, ma alla fine cerco di mettere sempre positività e ragionevolezza in ciò che faccio.
Solo questo voglio dirvi: siate positivi e cercate di migliorarvi costantemente. La moto è gioia, perciò ricordiamoci di viverla come tale. In gruppo o da soli, purché con consapevolezza e buonsenso. Non imitiamo gli altri. Non mettiamoci in competizione con loro.
Ragioniamo con la nostra testa!