Che cosa vuol dire perdonare? E soprattutto, come si fa a perdonare? Lo scopriamo insieme attraverso le parole di Clarissa Pinkola Estes, analista, tratte dal famoso libro “Donne che corrono coi lupi”.
Se la rabbia diventa un ostacolo per il pensiero e l’azione creativi, allora dev’essere attenuata o tramutata. Per coloro che hanno dedicato molto tempo a elaborare un trauma, causato dalla crudeltà altrui, dalla negligenza, dall’ignoranza o dal fato, arriva il tempo del perdono, perché la psiche sia libera di tornare al suo stato di pace.
Molti non sono portati al perdono perché è stato insegnato loro che è un singolo atto da compiersi in un’unica seduta. Non è così. Il perdono è fatto di molti strati, di molte stagioni. Secondo la nostra cultura il perdono dev’essere al cento per cento: o tutto o niente. Si insegna poi che perdono significa far finta che una cosa non sia accaduta. Neanche questo è vero.
Per temperamento, certe persone sono più facilmente capaci di perdonare di altre. Per alcuni è un dono, per i più è un apprendimento. La vitalità e la sensibilità, a quanto pare, intaccano la capacità di passare sopra le cose. Non siete cattivi se non perdonate facilmente, né siete delle sante se ne siete capaci. Ognuno a modo suo, e a tempo debito.
Esaminiamo i quattro livelli di perdono:
- Prendere le distanze – lasciar cadere.
- Astenersi – evitare il castigo.
- Dimenticare – estirpare dalla memoria, rifiutarsi di indugiare.
- Perdonare – rimettere il debito.
Prendere le distanze – Per cominciare a perdonare, è bene allontanarsi, ovvero non pensare per un po’ alla persona o all’evento. Non si tratta di lasciare qualcosa di incompiuto, ma di prendersi una sorta di vacanza. Evitiamo così di sentirci esausti, ci lasciamo uno spazio per rafforzarci, per godere di altre felicità. E’ un buon esercizio per arrivare al distacco finale che in seguito arriva con il perdono. Allontanatevi ogni volta che lo ritenete necessario. Non si tratta di trascurare ma di diventare agili e forti nel distaccarsi dalla questione.
Astenersi – La seconda fase consiste nell’astenersi, in particolare nel senso di evitare il castigo, e anche di pensarci. Astenersi vuol dire avere pazienza, resistere, incanalare l’emozione. E’ una purificazione. Non occorre fare tutto insieme: si può scegliere ad esempio la pazienza, ed esercitarsi ad averne.
Dimenticare – Significa cancellare dalla memoria, rifiutarsi di indugiare, in altri termini: lasciar andare, allentare la presa, in particolare nella memoria. L’oblio consapevole significa non insistere nel tenere la questione in primo piano ma relegarla sullo sfondo, o allontanarla dal palcoscenico. Ci esercitiamo nell’oblio conscio rifiutando di richiamare e raccogliere il materiale infiammabile. Dimenticare è un gesto attivo, non passivo. Significa non sollevare taluni materiali, non fomentarsi con pensieri, immagini, emozioni ripetitivi. L’oblio conscio significa volutamente abbandonare la pratica di ossessionarsi, e intenzionalmente allontanarsi e perdere di vista, non guardarsi indietro, vivendo così in un paesaggio nuovo, creando una vita nuova e nuove esperienze cui pensare.
Perdonare – Sono molti i modi e molte le misure del perdono concesso a una persona, a una collettività, a una nazione per un’offesa. E’ importante ricordare che il perdono “definitivo” non significa resa. E’ la decisione conscia di smetterla di nutrire risentimento.
Dovete essere voi a decidere quando perdonare e con quale rituale segnare l’evento. Sarete voi a stabilire quale debito non dovrà più esservi pagato.
Alcuni scelgono il perdono totale: l’altro non è più tenuto alla restituzione, né ora né. Altri arrivano a dire che quel che è stato è stato. Un altro tipo di perdono ancora è lasciar perdere anche se l’altro non ha in alcun modo restituito nulla. Per alcuni, perdono significa guardare l’altro con indulgenza, il che è più facile se le offese sono state lievi. Una delle più grandi forme di perdono è offrire un aiuto compassionevole alla persona che ci ha offese.
Il perdono è il culmine delle precedenti fasi. Non vuol dire rinunciare alla protezione, ma alla freddezza. Una grande forma di perdono è smettere di escludere l’altro, il che significa smettere di tenere a distanza, di ignorare, di mostrarsi freddi, asserendo di non essere né condiscendenti né falsi. Per la psiche-anima, è meglio limitare il tempo dedicato alle persone con le quali si sta con difficoltà che agire come un manichino insensibile.
Il perdono è un atto creativo. Si può perdonare per ora, per un po’, fino alla prossima volta, perdonare ma non offrire ulteriori possibilità. Si può offrire una sola possibilità, varie possibilità; dimenticare un’offesa in parte, per metà, o del tutto. Ognuno in cuor suo deciderà.
Come sapere se si è perdonato? Si avvertirà più dispiacere che collera, la persona che ha causato dolore farà più pena che rabbia. In memoria non resterà nulla da dire. Si comprenderà la sofferenza che ha prodotto l’offesa e se ne vorrà restare fuori. Nulla ci si aspetterà. Nulla si vorrà. Forse non ci sarà il finale e poi vissero felici e contenti, ma quasi per certo ci sarà un nuovo C‘era una volta per ricominciare.
Fonte: Clarissa Pinkola Estés – Donne che corrono coi lupi – Milano, 2013 Frassinelli