Perfetti sconosciuti – Paolo Genovese #film

Creato il 02 marzo 2016 da Amalia Temperini @kealia81

Qualcuno giorni fa mi ha chiesto cosa pensavo del film di Paolo Genovese, Perfetti Sconosciuti, distribuito nel 2016 e ancora oggi al cinema. Ho così preferito sostituire mega produzioni straniere per dare importanza a qualcosa di italiano, per il quale, di solito, prediligo l’attesa della diffusione televisiva.

Inizialmente Perfetti Sconosciuti mi ha ricordato Carnage di Roman Polanky e In nome del Figlio di Francesca Archibugi (anche nella sua versione originale francese). Colpa dei grandi amici, delle abbuffate, dei tavoli, dei libri piazzati ovunque, degli argomenti legati alla politica. Per la prima volta, in questo contesto, non mi è sembrato di trovare questa diatriba. La centralità finalmente si è spostata su altro, qualcosa di più contemporaneo.

Tutto da nasce da un gioco, ma realmente si muove con esso?

Seppur nata come commedia, con momenti esilaranti, il film ha una centralità ricca di cinismo, brutture e meschinità tanto da sfiorare il drammatico con incisività. Su questo dato mi ha ricordato la sensazione che provai quando vidi L’ultimo capodanno di Marco Risi  negli anni ’90.

Ho apprezzato la scrittura e il modo in cui si è rilevato nella sua fine, i meccanismi di intreccio che hanno permesso allo spettatore di rimanere attento e vigile sui personaggi fino alla fine. Più che la tematica dell’omosessualità, e della sua retorica, cui penso in Italia sia maestro Ferzan Opzetek, il cuore del problema sia stato impiantato nell’uso delle nuove tecnologie (cellulari, app, social).

In certi passaggi l’impronta del moralismo poteva essere alleggerita. Alcuni dialoghi potevano omessi, soprattutto alla fine, poiché il disagio degli attori e le intuizioni di montaggio bastavano a ricucire le dinamiche, a far capire quanta solitudine sia ammanta l’esistenza.

Non ho trovato la solita dedizione a una formazione, alla crescita di personaggi, ai riti di iniziazione o di passaggio all’età adulta, quanto una centralità focalizzata sull’odierno, su un blocco emotivo diretto, tangibile percepibile dentro e fuori dal cinema: un voler dire ma non fare, rinunciare, per immaturità e incapacità. Non so se per vigliaccheria o tutela, ma questa condizione stabile di tradimento è sfiancante, e sono d’accordo con chi mi ha fatto riflettere su questo punto, forse è una costante talmente tanto abusata nella realtà, che siamo stanchi di trovarla in sequenze dialogiche così nette al cinema.
Il cast perlopiù romano ha stancato.
Trovo sempre al top Giuseppe Battiston, mi piace molto Alba Rohrwacher, ho apprezzato Anna Foglietta – relegata spesso a ruoli che la mettono in un piano inferiore rispetto a quello che potrebbe offrire se sviluppasse di più la sua componente drammatica. Senza spoilerare, aggiungo: se il ruolo di Kasia Smutniak fosse emerso, allora sarebbe stata davvero una stronza psicologa spietata e manipolatrice.

Ognuno di noi ha davvero tre vite? 
Ci penso ancora un po’, così da avvalorare il segreto nel sottotitolo.

Teaser:

Locandina:


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