Anche quest’anno il Gender Bender ha ospitato opere e artisti di grande rilievo, suscitando scalpore nel pubblico che, come nelle passate edizioni, è stato numeroso e partecipe.
All’interno del festival si è svolta, per il secondo anno, la rassegna Performing Gender: un progetto europeo di danza contemporanea che usa arte e cultura per riflettere sulle differenze di genere e di orientamento sessuale.
Un anno dopo il workshop del 2013, gli artisti di Performing Gender hanno presentato al Mambo le loro creazioni finali come parte della visita al museo. Cristina Henríquez, Juanjo Arquéz, Riccardo Buscarini e Vlasta Delimar hanno portato gli spettatori a interrogarsi e riflettere su relazioni di potere e identità di genere.
In Blur, Riccardo Buscarini si muove e danza intrappolato in una rede, trasmettendo un senso di incertezza e ambiguità, uno spazio da lui stesso definito meditativo, indefinito, dove il genere è l’eco di una chimera che fluttua persa nell’ombra. Il lavoro di Vlasta Delimar era invece visibile nelle acque del Parco Cavaticcio, in cui appariva a grandi lettere la frase: “Io sono. Io sono una persona. Io sono una persona buona”. Un lavoro composto da parole elementari immerse nell’acqua, per sottolineare l’importanza dell’individualità e respingere ogni identificazione in qualsiasi ideologia, stato, partito o religione che definiscano la nostra identità.
Il lavoro di Juanjo Arquéz e Cristina Henríquez è stato quello col quale ho avuto più modo di confrontarmi, intervistando gli stessi artisti e chiedendo loro come fossero nate le preformances e quale fosse il messaggio che volevano comunicare. In Estreno Absoluto, Juanjo affronta il tema della transessualità, esplorando il movimento del corpo in relazione alla trasformazione. Una gonna rosa di tulle più lunga del normale e una maschera di silicone translucida sono gli elementi che aggiunge al suo corpo per portare in scena un’immagine tra la crisalide e la vagina, che si trasforma durante la performance. Juanjo si inserisce e arriva a formar parte della scultura Arte Povera, esposta nella stessa sala del museo in cui si esibisce l’artista, continuandone il senso di trasformazione.
Maria Magdalena, la performance di Cristina Henríquez presentata davanti all’opera di Guttuso “I funerali di Togliatti”, nasce invece dalla sua riflessione sul commercio sessuale e sulla prostituzione. L’artista ci racconta come abbia iniziato a raccogliere per le strade di Madrid flyers pubblicizzanti centri massaggi e altri luoghi di prostituzione più o meno legali, e come abbia notato che, sebbene la prostituzione non debba necessariamente essere una questione di genere, questi flyers mostravano sempre foto di donne seminude e con il volto spesso nascosto.
In un primo momento Cristina aveva pensato di presentare se stessa come Magdalena, la prostituta biblica, poi ebbe un’idea più efficace: ribaltare cioè la situazione e fare in modo che il pubblico si dovesse confrontare con l’essere lui stesso la persona in mostra che riceve un pagamento in cambio del proprio corpo. Il pagamento consiste in un dolce tipico spagnolo, una specie di muffin, chiamato comunemente magdalena, da cui nasce un gioco di parole comprensibile soltanto da chi conosce la cultura spagnola. Nella performance, Cristina è vestita da uomo e detiene il potere, mentre il pubblico entra nella scena senza sapere che ne sarà attore o attrice protagonista.
I due personaggi di Maria Magdalena e Estreno Absoluto si incontrano successivamente in Siamo Due, nella sala del museo che ospita l’opere di Daniela Comani “Sono stata io”. Ciò che si produce in Siamo Due è la soppressione delle caratteristiche di genere: Cristina e Juanjo si spogliano degli elementi che delineano le loro relazioni con gli altri e con loro stessi, per mettersi in relazione con quanto hanno di fronte in quel momento. La danza che si instaura tra i due corpi nudi richiama la parte più animale dell’essere umano, passando da momenti di tenerezza e calma a instanti di tensione e che possono evocare una relazione sessuale. Quando infine si rivestono, si produce un progressivo viaggio di ritorno: Juanjo si copre nuovamente il volto e si allonta nello spazio ritornando ingabbiato nella sua trasformazione; Cristina si riveste del suo abito maschile e nella riacquisita libertà di movimento, instaura nuovamente un contatto visivo con il pubblico.
Nelle tre performances, il genere viene presentato come qualcosa di fuido e mutevole, l’identità si crea dalla relazione tra esseri umani e ognuno è diverso dipendendo da chi si trova di fronte. Le performances hanno suscitato grande successo tra il pubblico e reazioni diverse, dal pianto all’applauso. Ancora una volta, è stato emozionante vedere e sentire come l’arte riesca a comunicare e a far riflettere senza bisogno di tante parole.
L’avventura di Performing Gender è iniziata nel giugno 2013 a Zagabria, per poi passare da Bologna, Maastricht e Madrid, con artisti e opere diverse in ogni città. Quello che abbiamo potuto vedere a Bologna la settimana scorsa, ne era il felice epilogo.
Sperando che l’esperienza si possa ripetere presto, per ora ci rimangono le sensazioni ancora vivide che questi grandi artisti hanno saputo regalarci.
Posted on 8 novembre 2014 at 5:51 pm in Seconda Stagione | RSS feed | Rispondi | Trackback URL