Perle di architettura: la Torre di David a Caracas

Creato il 08 aprile 2014 da Nonsoloturisti @viaggiatori

Spesso gli edifici hanno vita propria e con il tempo mutano così radicalmente funzione da diventare l’opposto di ciò per cui erano stati progettati.

Anche se il suo nome ufficiale sarebbe “Centro Financiero Confinanzas”, nel centro di Caracas dove svetta con i suoi 190 metri di altezza è soprannominata “Torre di David” dal nome del principale investitore nella costruzione, il finanziere David Brillembourg, morto nel 1993. 
Questi sognava un grande complesso moderno composto da sei edifici, le torri A e B di 190 metri con un eliporto, altri due edifici serventi, la lobby e un parcheggio di dodici piani: un progetto che faceva parte di un piano volto a trasformare questa parte di Caracas in un quartiere finanziario in grado di competere con le altre capitali economiche mondiali.

Invece durante la crisi bancaria del 1994 il governo ha acquisito la proprietà dell’edificio, che è rimasto incompleto per mancanza di fondi: mancavano ascensori, impianti elettrici, acqua corrente, infissi ai balconi e alle finestre e in molte parti anche i muri divisori. Se l’architetto della torre aveva disegnato un grattacielo destinato ad accogliere un’azienda, un albergo e diversi negozi, per molti anni la torre è stata solo un guscio vuoto.
La realtà è cambiata nel 2007, quando gli enormi problemi abitativi nella capitale del Venezuela hanno spinto oltre 750 famiglie (oltre 2500 persone) a trasformare un grattacielo incompiuto e abbandonato nel centro della città in un’insolita e stupefacente comunità residenziale, completamente abusiva.

Per prima cosa gli occupanti hanno creato alcuni servizi di base: per esempio tramite rudimentali sistemi di tubature idrauliche l’acqua corrente arriva fino al ventiduesimo piano, anche se i residenti occupano gli ambienti fino al ventottesimo. Infatti se i piani dal 31 al 45 sono ancora vuoti, ed il 29 ed il 30 spesso ospitano rifugiati e sbandati, i ventotto piani sottostanti sono completamente funzionanti e, come in una utopia di Le Corbusier, ad abitazioni si alternano negozi.

Al piano 26 c’è una panettieria ed un venditore di empanadas, al 22 venditori di sigari, schede telefoniche, pollame e generi alimentari, mentre al 10 un piccolo asilo, una cartoleria, una vendita di ghiaccio ed una gelateria. La sala giochi sta all’8 ed al 4 la parrucchiera.
 Quella che può sembrare solo una occupazione, come ne capitano tante nel mondo, è stata invece oggetto di un’analisi, durata oltre un anno, da parte dello studio Urban-Think Tank.

Invitati da Justin McGuirk, curatore della Tredicesima Biennale di Architettura di Venezia, Urban-Think Tank ha ricreato negli spazi dell’Arsenale Gran Horizonte, un ristorante presente nella Torre. Vi veniva servito lo stesso cibo tradizionale venezuelano dell’originale: le uniche differenze erano che sui muri erano presenti le foto di Iwan Baan, fotografo che ha immortalato la vita quotidiana degli inquilini della Torre, e i televisori (presenti in ogni ristorante economico e perfino nelle bancarelle di street food in Venezuela) mostravano una serie di cortometraggi sulla torre creato da Urban-Think Tank.

Nonostante le moltissime polemiche scatenate da questa installazione nella comunità venezuelana, che riteneva fosse un modo per elogiare se non incentivare le occupazioni illegali, la giuria gli ha assegnato il Leone d’Oro per il miglior progetto rappresentante il tema “Common Ground” commentando così la decisione: “Una comunità spontanea ha creato una nuova casa e una nuova identità occupando Torre David, e lo ha fatto con talento e determinazione. Questa iniziativa può essere intesa come un modello ispiratore che riconosce la forza delle associazioni informali.”

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Un po’ toscano, un po’ lombardo, viaggio molto ma i letti sono sempre troppo corti per me. Da piccolo giocavo con le costruzioni e da grande mi sono innamorato delle linee armoniche dell’architettura classica. La dimensione del viaggio per me è un’esperienza prima che fisica conoscitiva perché seguendo la strada battuta da Polo, Chatwin, e Rumiz credo che la consapevolezza di ciò che si guarda è il primo passo per comprenderne la bellezza.

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