Io lo so, che dovrei mostrarmi seria e professionale. Sul lavoro lo sono anche. Voglio dire, ormai mi esprimo fluentemente in un linguaggio fatto di recap, engagement, conference call e addirittura ASAP (ommioddio, sono diventata una di quelle che dice “ASAP”! Da qui a mimare le virgolette con le dita è un passo). Dico anche spesso feedback, nonostante il termine mi evochi puntualmente un'impegnativa conversazione con un Giovane Cantautore Toscano in merito alla necessità di esternare i propri individuali microcosmi creativi interiori. Il giorno dopo, qualcuno aveva scritto sulla sua pagina Facebook: “non ho capito di cosa parlavi con la ragazza col vestito verde”. Avrei volentieri scritto “Neanch'io”; così, per fare la simpatica, se non ci fosse stata una remota possibilità che qualcun altro oltre a me indossasse un vestito verde. Ma poi, chi è questa che ci ascoltava? Perchè dovrebbero interessarle i microcosmi creativi? Chi sono io? Da dove vengo? Eccetera. Comunque. Si diceva che sono professionale. Anche se l'aggettivo professionale, nell'immaginario collettivo, corrisponde più a una col tailleur di Armani ben stirato che a qualcuno che passa metà della pausa pranzo a cercare i prezzi dell'Indovina Chi? da viaggio (lunga storia). Se è per quello, ho anche un sole stilizzato da bambina di cinque anni sulla tazza-lavagna della mia scrivania. E, ultimamente, l'aggravante di esprimermi per citazioni tratte dall'ultimo libro di Bridget Jones.
Il punto è che, attorno alla mia indubitabile ed elevatissima professionalità, le situazioni paradossali continuano a prendermi di mira. Anche nell'orbita gravitazionale della vita lavorativa. Qundi, mi son detta: perchè non dovrei raccontarvele? Del resto, voi probabilmente vi starete chiedendo la stessa cosa, con il piccolo dettaglio di togliere il non dalla frase. Però che ne so, magari - se seguite il blog da tempo- eravate sinceramente preoccupati dalla sparizione della ragazza che cercava metodi alternativi per estirpare cavallette dal bagno del suo appartamento di Parma. Capirete che io senta l'obbligo morale di rincuorarvi. Apro una parentesi per dire che anche Bridget Jones è spesso alle prese con invasioni di insetti malefici. Chiudo la parentesi. Punto. Il resoconto delle mie peripezie mi serve peraltro a combattere la deformazione da blogger seria che oramai mi induce a scrivere tutto: 1. Per elenchi numerati 2. Per blocchi di paragrafi tematici con titolo in grassetto.PARAGRAFO TEMATICO CON TITOLO IN GRASSETTO Visto? Ce la posso fare. Ma si diceva delle situazioni paradossali. Della serie che la mia giornata tipo inizia inevitabilmente all'insegna dello spossamento fisico e morale. E a questo punto potreste pensare che io abbia un'eccitante vita notturna fatta di amanti focosi, feste in discoteche alla moda e cocktail alla base di frutta tropicale. Invece è solo che mi ostino nel mio amore per le passeggiate: ottimo modo per svegliarsi del tutto, ossigenare i pensieri, mantenersi in forma e raggiungere l'ufficio con la mente bella piena di idee. Tutto ciò in teoria. In pratica, le suddette idee hanno tendenzialmente a che fare con tutt'altri ambiti, decisamente impegnati e culturali, quali il nuovo disegno da fare sulla tazza-lavagna o se è vero che faranno un film di Jem and The Holograms.
Tutto ciò mentre corro come una pazza, manco mi inseguisse uno psicopatico armato di mitra. Risultato: il mio ingresso trionfale nell'edificio adito allo sviluppo della mia disarmante professionalità mi vede ansimante, spettinata e in evidente sindrome da non-avrò-mica-l'ascella-pezzata per i primi dieci minuti almeno. Ovvero, il tempo che impiego a scolare un'intera bottiglietta di acqua frizzante come se fossi appena uscita da un'escursione nel deserto del Sahara. Il tutto si aggiunge, in genere, alla sottile vena d'inquietudine per cui spero di evitare incontri casuali con lo psicologo della porta accanto. Non che abbia niente contro di lui, anzi. E' solo che, dopo i nostri primi – e al momento unici- due incontri sono seriamente convinta che mi stia organizzando una seduta d'urgenza alle spalle. La prima volta l'ho incrociato alle dieci del mattino, esprimendomi in un cordialissimo e squillantissimo “Buonasera!” che, dopo lunga pausa ad effetto, ho giustificato con un “cioè, buongiorno, devo avere il fuso orario incorporato”. La seconda, stavo raggiungendo il bagno con passo furtivo munita di (attenzione! Segue elenco numerato!): 1. Bacinella 2. Ingiustificata quantità di piatti da lavare3. Detersivo per piatti 4. Cartellino con su scritto “occupato”. Mi aveva guardata seriamente perplesso. Comunque. Se questo rientra nella routine, l'ultima settimana è stata ancor più impegnativa. Soprattutto a causa dell'insistente squillo del telefono ad opera di capi, clienti, comitati olimpici (lunga storia), giornalisti, organizzatori di manifestazioni inerenti la Grecia antica, call center vodafone, mia madre che mi chiede come si compra la roba sul sito di Zara. E mai nessuno che mi venda un Indovina Chi?. Lo squillo del telefono, di per sé, mi ha regalato un insostenibile problema di allucinazioni uditive per cui mi sembra di sentire Gretel di Dani Martín (meglio nota alle mie colleghe come La Musichetta) praticamente ogni due secondi, nonché a guardarmi attorno con occhi spiritati chiedendo “é il mio? É il mio?”. Come se qualcun altro, in Italia, potesse avere La Musichet..ehm, Gretel, come suoneria del cellulare. Dovrei cambiarla. Il tutto, sommandosi ad un sottofondo costante di tonfi sordi che potrebbero provenire alternativamente da qualcuno che lavora sul tetto, da un terremoto del settimo grado Mercalli o da gente che si ammazza di legnate, ha peggiorato notevolmente il mio giá avanzato stadio di rincoglionimento. Tanto che l'altro giorno, nel tentativo di scaldare delle lasagne, il microonde mi ha risposto “No”. Giuro, l'ha proprio scritto sul display. Cosí, strafottente. NO. Al che ho instaurato un dialogo con lui, ricordandogli che, capisco la ristrettezza degli spazi disponibili, ma almeno un “mi dispiace” non sarebbe guastato. Poi, non riuscendo a collegare il fatto che l'apparizione di una scritta qualsiasi dimostrava di per sé la presenza di corrente elettrica, mi sono messa a passeggiare per tutta la stanza con la Macchina Malefica in braccio, avendo il chiaro obiettivo di testare l'interezza delle prese elettriche disponibili. Stavo giá per chiedere asilo al kebabbaro all'angolo quando mi sono accorta che il piattino interno s'era spostato. La giornata s'era poi conclusa attendendo una cliente all'aria aperta ormai non piú “piacevolmente frizzante” della sera. Il mio esagerato anticipo, unito al giá citato sintomo di Primaverite Acuta che m'induce ad indossare giubbottini in pelle leggerissimi (lo dice anche Bridget Jones, che in questa stagione non si sa come vestirsi), mi ha spinta ai limiti dell'ibernazione. Per cercare di distrarmi, mi sono rifugiata nella videoteca a lato, leggendo trame di film che probabilmente non guarderó mai in vita mia. Ce n'era una in cui un tizio ereditava dalla famiglia la facoltá di viaggiare nel tempo; quindi, visto che non rimorchiava alla Festa di Capodanno, ha pensato bene di andare a conquistare una damina dell'ottocento che...no, aspetta, forse non era proprio cosí. Ci stavo riflettendo quando una ragazza munita di carrozzina+bebé mi ha salutata affettuosamente. Ho impiegato la successiva mezz'ora a chiedermi chi fosse, a demoralizzarmi perché tutte le mie coetanee stanno figliando mentre la mia massima aspirazione é raggiungere la prima fila ai concerti, e a rivangare il periodo dell'Erasmus in cui la quantità media di persone conosciute al giorno rendeva particolarmente frequente questo genere di situazioni. Soprattutto nel mese in cui mi ero votata anima e corpo alla Venerazione del Martini. Che tra l'altro ha solo una I in più rispetto a un'altra delle mie passioni. Ricordo che eravamo sul Barco, c'era quella canzone di Pittbull e...
Poi la tipa mi ha chiesto scusa. “Ho sbagliato persona”, ha detto. E io avrei voluto abbracciarla. Giuro. Voglio dire, in genere cose del genere capitano a me. Capirete quanto l'abbia trovata istintivamente simpatica. “Che brutta figura, sono davvero mortificata!”, ha aggiunto mentre io, finalmente, iniziavo a sentirmi un po' più adeguata al resto dell'umanità. Che poi, in fondo, è la ragione per cui leggo Bridget Jones.