Personale ma oggettiva

Da Marcofre

La definizione forse migliore a proposito della narrativa l’ho trovata nel libro di Eudora Welty (se interessa, si trova a pagina 104 de “Una cosa piena di mistero”).

Ha il merito di chiarire quali sono (almeno idealmente), i binari su cui deve poggiare il convoglio della storia. Racconto o romanzo che sia, almeno in questo caso non c’è molta differenza.

Qualunque sia il nostro obiettivo, la storia che raccontiamo è nostra, e non possiamo che raccontarla noi. Di solito l’esordiente si ferma qui, perché pensa che basti, sia sufficiente. Probabilmente, amici e conoscenti gli hanno sempre ripetuto che sa raccontare proprio bene.

Se costui è fortunato, troverà qualcuno che gli farà a pezzi il suo romanzo o racconto, e gli consegnerà un cadavere smembrato e pochi pezzi ancora riconoscibili. Se sfortunato (e presuntuoso), trascorreranno anni prima che desista, e si dia all’ippica.

L’esordiente con qualche ambizione (ambizione che spesso non arriva a nessun traguardo di rilievo), si renderà conto che è necessario qualcosa di più.

È come con la creta. Prima o poi ci si rende conto che il nostro modo di lavorare, pur restando un’espressione della nostra cultura, del nostro ambiente, di studi o di influenze, ambisce ad altro.

Occorre trovare un modo. Una specie di salto di qualità affinché il lettore non si senta spettatore, ma partecipi alla storia. Non si tratta soltanto di illustrare persone, ed eventi, ma di rendere il sogno tangibile quanto la realtà. In modo che il ritorno alla realtà (una volta terminata la lettura), comunichi un senso di nostalgia, compassione o riflessione che sia. Forse possiamo sostituire tutti questi concetti con il termine “stupore”?

Ecco ancora un vecchio tema che su questo blog ritorna sovente: il lettore. Per l’esordiente è qualcuno cui rifilare una storia, facendosela pagare cara. Basta dare un’occhiata a Lulu.com per rendersi conto di come molti di questi scrittori abbiano le idee confuse. Ammaliati da Ken Follett, pensano di proporre le loro opere a un prezzo fuori dal mondo. Senza nemmeno sforzarsi di spiegare chi sono, cosa fanno di bello. No: il lettore si deve fidare, deve comprare e basta.

Tuttavia, partecipare alla mia storia non vuol dire che devo scrivere quello che il lettore vuole. La letteratura non funziona affatto così, ed è un bene. È talmente imprevedibile che nessuno con un briciolo di buonsenso, e conoscenza del settore, può affermare il contrario.

Al massimo, può affermare che forse, con impegno, e talento, e tanta fortuna, lo scrittore esordiente potrebbe riuscire a ottenere un po’ di consenso.

Quello che so è poco come si vede, ma credo che il duro lavoro, la ricerca del modo (lo stile insomma), sia l’unica strategia capace di rendere il personale distante (non estraneo), e l’oggettivo capace di parlare a un lettore intelligente, attento. In tutto questo, tu o scrittore esordiente, sarai solo, completamente.


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