Forse qualcuno di voi sa che qualche mese fa, con Emanuela, sono andato in Brasile per conoscere e provare a raccontare, con Deixa Falar (letteralmente Lascia Parlare), un progetto: l’ Espaço Cultural Vila Esperança, che è nato come sociale con l’intento di coinvolgere, rafforzare e far emergere le fasce più deboli, creando un contesto di comunità. Poi nel tempo pur mantenendo lo scopo originale ha incentrato molte delle sue energie sulla scolarizzazione e sulla integrazione. Oggi, in un Brasile profondamente mutato (almeno in superficie) quella comunità è ancora lì. Cresciuta e in costante evoluzione. Di quella esperienza, il cui racconto continuiamo a portare avanti qua nei momenti di tempo libero, ho parlato poco in questo spazio. Così ho deciso di rimerdiare.
E lo faccio partendo proprio dal racconto in viva voce di uno dei fondatori, Robson Max de Oliveira Souza, una persona estremamente illuminata, di quelle che con piccoli gesti ma enorme forza d’animo e volontà è riuscita assieme ad altri ha creare un piccolo gioiello. Tutto è partito, come associazione, ufficialmente nel 1994 (ma l’embrione è del 1989) nella città di Goiás quando io ero ancora un decenne e in Italia qualcuno scendeva in campo. Venti anni dopo sono ancora lì, a portare avanti la loro missione tra mille difficoltà ma ancor più soddisfazioni anche grazie all’aiuto di un gruppo di amici italiani. Noi nel nostro piccolo speriamo in qualche modo di essere riusciti, e di riuscire ancora dare una mano. Intanto vi segnalo che da qualche giorno, in concomitanza con l’inizio del nuovo anno scolastico è nata la loro fanpage, quindi se volete andare a curiosare la potete trovare qua.
Detto questo vi lascio alla chiacchierata che abbiamo fatto con Robson, in una sera piovosa dentro la sua cucina, durante la nostra visita di settembre.