Persone perbene

Creato il 16 maggio 2012 da Povna @povna

Stamani sul treno della ‘povna – quello dell’alba delle 6.50, di tanto sonno, e tanti pendolari – l’insolito gracchiare del microfono ha introdotto la voce del nuovo capotreno.
Avvertiva delle fermate, augurava buon viaggio con passione e competenza. E poi, con voce mesta, aggiungeva che la maggioranza delle porte del treno erano rotte e per questo invitava i passeggeri, tutti quanti, a prepararsi in tempo per discendere senza trovarsi di fronte all’imprevisto. Infine, con il tono di chi regge su di sé il peso di un po’ di mondo, si scusava moltissimo, e nome dell’azienda; e ringraziava tutti per la collaborazione.
E la ‘povna – che si recava a scuola con anticipo, per partecipare alla kermesse delle prove INVALSI – ha pensato che in questo siparietto era racchiuso, banalmente, il suo senso di etica del lavoro, ma anche di piccola felicità umana.
Perché – di fronte a vagoni di un treno che non funziona, luridi, caldi, puzzolenti, quando i bagni sono chiusi, oppure sporchi, i ritardi all’ordine del giorno, così come i guasti alla motrice – sarebbe possibile (e anche comprensibile) lasciarsi prendere dallo scoramento. E dire: “Fa tutto schifo, il sistema dei viaggi è organizzato malissimo; io non sapevo, non pensavo, non mi aspettavo, quando ho fatto il concorso per diventare ferroviere; e non posso essere certo io a salvare il mondo. E dunque in questo condizioni faccio il mio e chi si è visto si è visto; e se i passeggeri non riescono a scendere per le porte rotte, chissenefrega, non è colpa mia”.
Oppure si può decidere di prendere un microfono, e parlare agli altri viaggiatori con onestà e consapevolezza, chiedere collaborazione e provare a rendere quell’insieme di vagoni (sui quali per quel tratto ci si trova a viaggiare insieme in ogni caso tutti) un poco casa propria.
E così, quando il controllore è arrivato e le ha chiesto il suo biglietto: “Ecco un altro abbonato, allora buon viaggio, signorina, e grazie”, la ‘povna gli ha lasciato un gran sorriso di rimando, di quelli che riserva agli spiriti affini. Convinta che un atteggiamento del genere – in cui le cose si fanno (interamente e per bene, come le ha insegnato la sua mamma) perché sì, perché è giusto, significativo e bello – non sia soltanto l’unico modo possibile (questo è banale) di interpretare il rapporto con gli altri; ma anche (e soprattutto), la sola via davvero efficace e appagante (starebbe per dire: compiutamente risolta) per essere felici in proprio.

“Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
E Polo: – L’inferno dei viventi, non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Italo Calvino,
Le città invisibili, 1972


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