Le acque del Tulloch scorrevano sotto di me. Sulle sue rive c’erano macchie di arbusti e rododendri che fornivano riparo agli uccelli. Udii un fagiano lanciare il suo grido d’allarme,non lontano. Guardai i due uomini che pescavano. Con la salopette di gomma lo sceicco aveva perso un po’ della sua maestosità. Era un semplice pescatore, tutt’uno col fiume, completamente concentrato su quel che stava facendo. Vidi la canna formare il doppio cerchio del lancio e sentii il sibilo della lenza che attraversava l’aria con un movimento fluido e lo schiocco leggero della mosca che si posava sull’acqua. Trenta o quaranta metri più sotto c’era Fred. In acqua appariva molto sciolto, si muoveva con facilità, lanciava con un’economia di gesti e un’abilità sorprendenti per una persona che si è abituati a vedere dietro una scrivania e solitamente è piuttosto rigida nei movimenti.
Entrambi parevano essersi dimenticati di me, del progetto, di qualunque altra cosa che non fosse un guizzo improvviso nelle acque scure che nascondevano la preda. Da qualche parte, dietro un’ansa del fiume, c’era Colin, anche lui intento a pescare, forse come ricompensa per quelle faticose giornate passate ad addestrare il corpo dei futuri gillie yemeniti dello sceicco, ma sapevo che, se il suo padrone avesse anche solo sfiorato un pesce con la sua esca, Colin si sarebbe miracolosamente materializzato al suo fianco con il retino, pronto ad aiutarlo a portare a casa la preda. Era tutto così tranquillo, finalmente, e mi sentivo le palpebre pesanti. Ero stanca, sfinita per le settimane di lavoro e le preoccupazioni per la sorte di Robert. Sentivo lo scorrere melodioso del fiume e il canto di un merlo acquaiolo appollaiato su un masso con la coda che andava su e giù. Una sensazione di calma profonda si impadronì di me, la sensazione che alla fine tutti i problemi si sarebbero risolti: lo sceicco avrebbe avuto il suo fiume coi salmoni, Robert mi avrebbe chiamato dall’aeroporto per dirmi che stava tornando a casa e io sarei stata di nuovo felice.
Poi sentii ancora il grido di allarme del fagiano. Alzai lo sguardo. Un uomo basso con la carnagione scura in kilt e calzettoni veniva verso di noi tra gli alberi. La parte superiore del corpo era coperta da una giacca di pelle rigonfia sul davanti. In testa portava una specie di basco, che faceva pensare più a un venditore francese di cipolle che non a un membro di un clan delle Highlands. Udii le prime foglie cadute scricchiolare sotto i suoi passi, e mi resi conto di aver inconsapevolmente avvertito quel rumore già da qualche istante, prima di vederlo. Poi mi accorsi che l’ometto non era grasso, anzi era molto magro, quasi emaciato. Quello che lo faceva apparire così corpulento era una specie di pistola con una canna lunga che gli spuntava da sotto la giacca. A quel punto tutto parve accadere al rallentatore. Ebbi il tempo di vederlo armeggiare con la pistola, sentire che mi alzavo in piedi con un movimento goffo e facevo per urlare.
Solo che la voce mi si bloccò in gola, e la prima persona a parlare fu l’ometto. «Allah akhbar» disse, con voce chiara e forte, per nulla concitata. Sentendolo, lo sceicco si voltò, lo vide e, senza mostrarsi minimamente allarmato, rispose: «Salaam alaikum», portandosi la punta delle dita alla fronte e poi aprendo la mano in gesto di benvenuto. L’ometto sollevò la pistola e la puntò contro lo sceicco, il quale se ne rimase lì immobile nel fiume in attesa che l’altro gli sparasse. Allora mi sembrò che passassero delle ore. In realtà si trattò di pochi secondi. Poi tutto riprese velocità. Io ritrovai la voce e dalla gola mi uscì finalmente il grido che avevo cercato di fare prima. Con la coda dell’occhio vidi Fred balzare verso la riva, camminando con l’agilità di una lontra nell’acqua che gli arrivava alla cintola. Ma non aveva alcuna possibilità di arrivare in tempo. E se anche ci fosse riuscito, probabilmente quel tizio avrebbe sparato anche a lui e a me. Forse’era quello il piano. Non c’erano guardie del corpo nelle vicinanze. Quando pescava, lo sceicco non permetteva a nessuno di avvicinarsi al fiume e turbare la sua tranquillità. Chiusi gli occhi e li riaprii dopo i primi spari.
I colpi partirono dritti verso il cielo, mentre l’ometto inspiegabilmente faceva un balzo all’indietro, urlando e portandosi una mano alla faccia. Lasciò
Mi ronzavano le orecchie e non sentivo quasi niente. Lentamente rimisi tutto a fuoco e riuscii a tirarmi su a sedere e a guardarmi attorno, mentre Fred mi sosteneva con un braccio dietro le spalle. L’ometto era seduto sulla riva a qualche metro di distanza, e si teneva un fazzoletto sporco di sangue premuto sulla guancia. Parlava animatamente in arabo con lo sceicco, e piangeva. In piedi attorno a lui, quattro delle guardie yemenite, abbandonate le canne da pesca, se ne stavano lì minacciose con la mano pronta sull’impugnatura dei jambia, i grandi pugnali ricurvi che portavano alla cintura. Sono sicura che lo avrebbero fatto a pezzettini al minimo cenno da parte dello sceicco.
Sentii Colin che diceva: «Sì, l’ho visto venire su per il glen dall’altra riva, ma avevo appena sentito tirare la lenza e per un istante non gli ho prestato molta attenzione. Poi ho capito che era un impostore. II kilt era un tartan dei Campbell. Non ci sono Campbell in questa vallata. Sono stati cacciati via centinaia di anni fa. Così ho lasciato il mio pesce per un’altra occasione e ho lanciato la lenza al piccoletto». Poi fece una risata e aggiunse: «Ha opposto meno resistenza di una trota. Sono bastati tre minuti per prenderlo».