Non essendo molto conosciuta l’opera, ancor più sconosciuto risulta l’autore, Loisel, che si è imposto nella serie A del fumetto francese nel 1983, quando ha disegnato per Dargaud la Quete de l’oiseau du temps, sceneggiato da Serge Le Tendre: il successo ottenuto gli ha permesso di realizzare quella che per ora è la sua opera più personale, Peter Pan per l’appunto (edito da Vents d’Ouest), di cui è sceneggiatore, disegnatore, colorista e regista.
La carriera di Loisel è stata consacrata nel 2003 dal prestigioso Grand Prix de la ville d’Angouleme, riconoscimento vinto finora da un solo italiano, Hugo Pratt.
Nel nostro paese il titolo ha finora conosciuto una sorte analoga, avendo
Loisel sta in equilibio tra questi due mondi e il suo Peter Pan è stato fondamentale per riaffermare le potenzialità espressive del canonico fumetto transalpino in un momento in cui l’autorialità sembrava – e sembra – mediamente sempre più distante dalla ricerca della qualità grafica e sempre più votata alla spensierata sperimentazione. Non è un caso che il Peter Pan di Loisel sia stato e sia fonte d’ispirazione allo stesso tempo per disegnatori (Wendling ed Etien su tutti) e per sceneggiatori: le strisce a quattro colonne, sebbene già viste in precedenza, sono diventate una sua personale cifra stilistica – avendole utilizzate con consapevolezza, competenza e costanza per tutti e sei i volumi – così come i campi lunghi coi comignoli in primo piano.
Lo stesso discorso andrebbe fatto anche per la sapiente integrazione tra segni morbidi e ruvidi (presumibilmente figli di pennello e pennino) e per il mai scontato bilanciamento tra i tanti neri e gli acquerelli che, usati differentemente, avrebbero rischiato di togliersi spazio a vicenda.
Ciò che rende Peter Pan una delle opere più importanti del poliedrico mondo del fumetto francese non è solo la sua bellezza grafica o narrativa, il suo successo o la sua pericolosa danza per non sacrificare nè la qualità di produzione nè la qualità artistica; è, più di ogni altra cosa, la consapevolezza e la maturità con cui viene trattato l’argomento principale, l’emblema stesso di Peter Pan: la (non) crescita.
Limitandosi al semplice evolversi del contenuto, il fumetto di Loisel
Quelle che vengono solitamente identificate come le caratteristiche più peculiari della sua storia sono la (presunta) maturità e il (presunto) realismo con cui Loisel tratta gli eventi: linguaggio scurrile e scene perverse, prostitute ovunque e alcolizzati dietro ogni angolo, un’ambientazione sporca e priva di qualsivoglia pietà umana, il tutto speziato con un aroma vittoriano che sembra provenire direttamente dalle mani di Charles Dickens. La tendenza al realismo viene rispecchiata dal maggior numero di dettagli – rispetto all’originale Peter Pan – riguardanti trama e personaggi, ma anche dall’imbruttimento dell’immaginario visivo disneyano imposto alla fiaba, incarnato – e questo è un termine particolarmente adatto – dalla stessa Campanellino, che nel mondo di Loisel ha la cellulite, il naso enorme ed è tanto volgare quanto era aggraziato il suo alter-ego americano.
Per questa ragione il fumetto di Peter Pan è al contempo prequel e seguito del romanzo originale: se da una parte segue il percorso di Peter fino al suo definitivo trasloco sull’Isola che non c’è – che è anche la parte di storia che tutti quanti conoscono, quindi per certi aspetti meno interessante – dall’altra, apparentemente sullo sfondo (e nel passato, altro paradosso), mostra le ripercussioni causate nella nostra società dall’infantilismo dilagante della seconda metà del XX secolo. Osservando da vicino la Londra messa in scena da Loisel ci si può illudere che sia popolata da persone adulte solo spogliando questa parola di qualunque significato etico e vincolandola al semplice dato anagrafico; oppure, in maniera ancora più brutale, immaginare che maturità morale e sessuale siano la stessa cosa.
Nel fumetto di Peter Pan oltre ai bambini stessi ci sono altri due tipi di creature infantili,: gli adulti “cattivi”, che vivono animati soltanto da pulsazioni primordiali (sesso in primo luogo) e gli adulti “buoni” che, non sentendosi parte dell’altra fazione e non provando nemmeno ad affrontarla, si rifugiano nell’immaginario mondo dell’infanzia preferendo l’illusione alla realtà, l’ignoranza alla conoscenza.
Questo secondo caso è impersonato dal signor Kundal, la virtuale ancora di salvezza di Peter dal mondo “dei grandi”: è proprio questo anziano, buono e solidale, la figura più disturbante e grottesca dell’opera. Il signor Kundal svolge quella che in qualunque fiaba verrebbe definita come la funzione del mentore, rappresenta cioè il personaggio che dovrebbe agevolare l’eroe (Peter) nel suo percorso verso la risoluzione finale, aiutandolo a superare gli ostacoli che si pongono tra lui e la meta, catalizzandone il percorso di crescita: un percorso che, per definizione, in Peter Pan non può esistere.
Piuttosto che aiutare Peter ad affrontare i problemi, il signor Kundal gli insegna quindi a evitarli e ignorarli, a scappare dalla parte opposta per non raggiungere mai l’agognata (temuta) meta: l’unico modo per farlo, l’unico modo per non crescere mai, è vivere nelle illusioni, non aprire mai lo scrigno, passare tutta la vita a immaginare cosa ci sia dentro, mantenere vivo il sogno che è l’unico ingrediente della vita capace di valorizzarla e renderle giustizia. Come ogni mentore che si rispetti – e come ogni lettore sa già prima di arrivare alla fine – anche il signor Kundal riuscirà ad istruire a dovere il suo prediletto, che finirà per allontanarsi definitivamente da Londra per volare all’Isola che non c’è.
Naturalmente solo una società pericolosamente deviata come la nostra potrebbe considerare un panorama simile, fatto da bambini piccoli e grandi, buoni e cattivi, ma tutti accomunati dall’infantilismo, come “realistico”: eppure è proprio con questo termine che gran parte della stampa accolse a suo tempo l’opera di Loisel, come se, più che una lente deformante, rappresentasse uno specchio.
Un messaggio simile si ritrova analizzando i tre protagonisti, che rappresentano altrettante appendici dello stesso personaggio piuttosto che entità distinte. È abbastanza celebre la teoria che considera Capitan Uncino un Peter Pan costretto a crescere, seppur non rassegnato al proprio destino: oltre alla morte tra le fauci del coccodrillo (Uncino viene inghiottito dalla belva ovvero dal tempo), molte altre sezioni nel romanzo sembrano corroborare questa tesi (il dialogo alla Laguna delle Sirene o la morte stessa di Uncino, quando la sua cabina viene occupata da un Peter insolitamente cupo).
Se Barrie traccia la similitudine in modo intelligente e sibillino, Loisel la esplicita come più non si potrebbe: nel fumetto il padre scomparso di Peter è Uncino stesso che, intimorito dalla prospettiva di avere un figlio e ancora voglioso di avventure, si imbarca verso l’Isola che non c’è.
Entrambi i personaggi appartengono a una dimensione più esistenziale che sociale e nonostante siano stati trasfigurati per non apparire fuori luogo nel fumetto di Loisel, la vera novità che propone l’autore francese è la loro somiglianza con Jack lo Squartatore, il terzo riflesso (dell’unico protagonista) che nasce e si sviluppa a Londra, non sull’Isola.
Se il collegamento tra Uncino e Jack è suggerito indirettamente dalla condivisa “parentela” con Peter, è bene ricordare che ben prima del fumetto di Loisel esisteva una teoria – tra le tante ipotesi – secondo la quale il vero Jack lo Squartatore sarebbe stato un membro della famiglia reale, imbarcatosi (proprio sotto il nome di Uncino) verso una destinazione ignota, per evitare altri scandali e omicidi.
Nel fumetto il legame tra Peter e Jack diventa più importante del singolo destino dei due personaggi che, seppur coevi, rappresentano infanzia e maturità del medesimo individuo. Jack attua nella realtà le decisioni che Peter prende nel mondo immaginario, concretizza quindi le scelte del ragazzo: se l’Opikanoba (sull’Isola che non c’è) permette a Peter di separarsi finalmente dal ricordo della madre e divenire così Peter Pan, Jack lo Squartatore, asfissiato dai palazzi della soffocante Londra, uccide la mamma/prostituta del bambino.
La chiosa finale è forse il messaggio più pessimista (e sicuramente il più azzardato) dell’intera opera, visto che Loisel non si limita a ribadire l’ipocrisia della nostra società incompiuta, ma sembra suggerire l’esistenza e il perdurare di un circolo vizioso: un mondo di Peter Pan non genererebbe altro che Peter Pan, una ruota senza possibilità di fuga che implicherebbe l’eterno ritorno di Peter, Uncino e Jack.
Alcuni anni fa l’editore dell’epoca scelse questa formula per pubblicizzare il titolo “Se questo mese potere comprare un solo fumetto, comprate Peter Pan“.
Nonostante il parallelo sia oggi evidentemente impossibile e anacronistico, ciò che resta immutato nel tempo è il valore di un libro dalla grande qualità non solo grafica, ma di scrittura. La ri-narrazione che Loisel compie della figura di Peter Pan è ancora oggi avvincente e feroce, e non mancherà di stupire quanti acquisteranno il volume convinti di leggere una magari valida trasposizione a fumetti per rimanere colpiti da un racconto sorprendente nella sua spietata originalità.
Abbiamo parlato di:
Peter Pan
Regis Loisel
Traduzione di Marco Cedric Farinelli
Edizioni BD, 2013
336 pagine, cartonato, bianco e nero – € 16,90
ISBN: 978886634763
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