Anno:2012
Distribuzione: Vivo Film
Durata: 67′
Genere: film-documentario/drammatico
Nazionalità: Italia
Regia: Luca Ferrari
Ci sono dei momenti in cui il cinema e la vita si scontrano. O si ritrovano a metà strada. Scelte importanti, in cui si decide e si desidera fortemente che quel progetto venga realizzato e veda la luce, che quella barriera immaginaria che si innalza tra schermo e spettatore venga abbattuta definitivamente. Deve essere abbattuta, per avere la possibilità di raccontare la verità. Luca Ferrari, dietro la sua macchina da presa, è la persona che si è assunta, per rabbia e per passione, questa scomoda responsabilità. Supervisionato dall’attore Valerio Mastandrea, da sempre sensibile nel coinvolgersi in prima persona in lavori indipendenti ed impegnativi, qui in veste di produttore. Inizia, non un film né un documentario, ma un viaggio all’interno della periferia romana, nel quartiere di Laurentino 38.
Pezzi è il testimone della vita di tante persone vissute, non in, ma da quel quartiere. Laurentino 38 è conosciuto dai cittadini romani, da sempre, come un luogo dimenticato da dio e dagli uomini. Isolato, degradato, quasi fuori dalla realtà. Tanto che, a volte, i tassisti si rifiutano addirittura di percorrerne le strade. Ma non è così. La gente che vive “ai ponti” è reale e palpitante. Così tanto viva da aver sperimentato esperienze di ogni tipo. Cose che ci si illude siano soltanto articoli di cronaca nera o storie talmente drammatiche da essere perfino troppo estreme per divenire la trama di un film. Nessuna finzione, neanche la più verosimile che si possa concepire, nessun copione reggerebbe il peso delle parole e del sangue raccolte in questo documento. Le voci e i volti non appartengono a nessun personaggio di fantasia, di nessun romanzo, ma sono quelli di Massimo “er pantera”, Stefano, Rosy, Giuliana, Bianca, Lillo e tanti altri. Anche loro prendono, come l’autore, la faticosa decisione di rompere quella barriera, quella parete di cemento armato dei grattacieli che li circondano. Decidono di mostrarsi nella loro quotidianità, esponendosi alla sofferenza dei propri ricordi fatti di anni di galera, spaccio e uso droga, familiari vittime e carnefici di efferati omicidi, alienazione, disagio. E lo fanno usando il loro linguaggio duro, incomprensibile soltanto a chi non ha mai neanche avuto idea di cosa significhi avere a che fare con situazioni così dolorose. Le inquadrature panoramiche, che dovrebbero ritagliare qualche secondo di tregua tra un racconto e l’altro, amalgamano ancora di più, invece, il senso di angoscia e claustrofobia che si prova percorrendo questo viaggio nella disperazione umana. La simmetria forzata delle costruzioni del Laurentino, che si sviluppano altissime e intervallate da 11 cavalcavia, somigliano a tante prigioni. E all’interno di esse, si muovono schegge impazzite, esseri umani che tentano di sopravvivere con dignità, con tanta amarezza e senso di ingiustizia, come se la loro esistenza fosse ormai senza speranza. Luca Ferrari non censura nulla, ma lascia libero sfogo alle testimonianze di ogni singola persona, che ognuna fornisce a modo suo: nessuna costrizione, anzi, un bisogno di parlare represso da troppo tempo che esplode violento e viscerale. Si discute di ingiustizie giudiziarie, sulla situazione vergognosa delle carceri italiane e di come le istituzioni sanitarie (e non) riempiano di psicofarmaci gli ex detenuti nel tentativo malsano di tenerli a bada e di relegarli negli abissi di un quartiere che non ha più niente da offrire loro. La sensazione del degrado dei ponti nasce proprio da questo, dal voler ghettizzare le persone più fragili e problematiche in modo che non nuocciano altrove e si distruggano a vicenda. Si è parlato di un rinnovamento della zona, ma chi è stato ad occuparsene, alla fine? Sono stati molti ragazzi agli arresti domiciliari che scontavano la pena nei lavori sociali utili. Molti di loro si sono salvati, altri no. Ma vivono ancora nelle menti e nei cuori di chi l’ha conosciuti e di chi ne sta tirando fuori le storie, con questo importante reportage che irrompe finalmente nel Festival di Roma a dispetto di tanti altri eventi “glamour” inutili e rumorosi. Non tutti fanno finta di non vedere, non tutti sono spaventati, non tutti incrementano l’abbandono di realtà che hanno il diritto di uscire allo scoperto. Onore e merito a chi ha contribuito alla concretizzazione di tale operazione. E a me che sto scrivendo, che pur appartenendo a quei luoghi vissuti nell’infanzia e nell’adolescenza, sono riuscita a ribellarmi e a trovare uno spazio confortevole dove esprimere le mie idee e sognare. Lasciando anche io un po’ di pezzi qua e là.
Giovanna Ferrigno