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Philippine perspectives on the South China Sea dispute: il convegno alla Sapienza

Creato il 08 giugno 2015 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Philippine perspectives on the South China Sea dispute: il convegno alla Sapienza

Il 22 maggio 2015 l’Aula di Geografia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Sapienza di Roma ha ospitato il giudice della Corte Suprema delle Filippine, Antonio T. Carpio, che è intervenuto per illustrare la posizione delle Filippine sulle controversie nel Mar Cinese Meridionale in un seminario organizzata dall’Ambasciata delle Filippine e dall’IsAG – Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie. Il seminario romano ha chiuso un ciclo di lezioni tenute dal giudice Carpio nelle principali capitali europee per dar voce alle Filippine nella controversia in una delle principali arterie del commercio marittimo del mondo.

massimiliano porto roberto nicolai gino devecchis

I lavori del seminario sono stati introdotti dai saluti del Prof. Roberto Nicolai, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, del Prof. Gino Devecchis, Presidente dell’AIIG – Associazione Italiana Insegnanati di Geografia, del Dott. Daniele Scalea, Direttore Generale dell’IsAG, e del Dott. Matteo Marconi, rappresentante del Master in Geopolitica e Sicurezza Globale dell’Università Sapienza.

matteo marconi antonio carpio daniele scalea

Il fulcro del seminario è stato l’intervento del giudice Carpio [clicca qui per scaricare la presentazione] che ha esposto, dal punto di vista storico e in base al diritto internazionale, e in particolare in base al diritto internazionale del mare – la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 –, le cause della controversia con la Cina e la posizione assunta di conseguenza dalle Filippine. Il giudice Carpio ha spiegato che nel 2009 la Cina ha presentato alle Nazioni Unite una nuova mappa dei confini nazionali nel Mar Cinese Meridionale, indicante una linea a nove trattini – conosciuta come nine-dashed lines – senza fornire alcuna base giuridica per il posizionamento dei tratti, privi per giunta di coordinate fisse. Nel 2013, inoltre, è stato aggiunto un decimo trattino alla mappa ad oriente di Taiwan1. La mappa, pubblicata da Sino Maps Press, sotto la giurisdizione del China’s State Bureau of Surveying and Mapping, esprime dunque la posizione ufficiale del governo cinese sui suoi confini marittimi. Ed in una nota verbale del 7 giugno del 2013 il governo delle Filippine ha comunicato alla Cina che “strongly objects to the indication that the ninedash lines are China’s national boundaries in the West Philippine Sea/South China Sea”.

antonio t. carpio

Il giudice Carpio ha spiegato che gli effetti di questa delimitazione dei confini nazionali cinesi nel Mar Cinese Meridionale comporterebbe una perdita per le Filippine di circa l’80% della propria Zona Economica Esclusiva (ZEE), inclusi l’intero Reed Bank e parte del giacimento gasifero di Malampaya. Ma anche altri Stati costieri del Mar Cinese Meridionale vedrebbero ridursi le proprie ZEE: la Malesia perderebbe all’incirca l’80% della propria ZEE in Sabah e Sarawak, così come la maggior parte dei giacimenti in quest’area; il Vietnam perderebbe circa il 50% della sua ZEE totale mentre il Brunei circa il 90% della sua ZEE totale; l’Indonesia il 30% della sua ZEE di fronte alle Isole Natuna nel Mar Cinese Meridionale, le cui acque circostanti comprendono il più grande giacimento di gas nel Sudest asiatico. Quindi la controversia nel Mar Cinese Meridionale – che è di natura territoriale per le rivendicazioni su isole, scogli e scogliere e di natura marittima per le rivendicazioni sulle zone marittime – coinvolge sei Stati costieri del Mar Cinese Meridionale. Di questi, la Cina con la sua nine-dashed lines rivendica circa l’85.7% dell’intero Mar Cinese Meridionale, pari a circa 3 milioni di km quadrati su 3,5 milioni di km quadrati del Mar Cinese Meridionale.

Tra le rivendicazioni cinesi, il giudice Carpio ha citato il James Shoal, un bassofondo sommerso dalle acque situato a 950 miglia dall’isola di Hainan e a soli 80 km dalla Malesia, che la Cina considera il proprio confine più a meridione ma su cui non potrebbe rivendicare la propria sovranità perché al di là del proprio mare territoriale. Tra le ulteriori rivendicazioni citate, il giudice Carpio ha fatto particolare riferimento ai bassifondi emergenti a bassa marea – rocce, scogliere, atolli, banchi di sabbia che sono visibili soltanto durante la bassa marea in quanto durante l’alta marea sono sommersi dalle acque – su cui ricorda che la Corte Internazionale di Giustizia si è pronunciata nel caso Nicaragua v. Colombia nel 2012 affermando che i bassifondi emergenti a bassa marea situati al di là del mare territoriale non possono essere soggetti di appropriazione da parte di alcuno Stato. Uno di questi che è oggetto di controversia è il Mischief Reef, situato entro la ZEE filippina, che, occupato dal 1995 dalla Cina per costruirci un rifugio per pescatori, è stato successivamente trasformato in una guarnigione militare.

Il giudice Carpio ha spiegato che la decisione delle Filippine per risolvere la controversia con la Cina – che ha natura prettamente marittima e non territoriale – è stata quella di rivolgersi al tribunale arbitrale affinché si pronunci sulla interpretazione e applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare concernente i seguenti punti:

1. Se la nine-dashed lines della Cina, che non è misurata dalla costa e quindi non è parte del mare territoriale, della ZEE o della piattaforma continentale della Cina, può violare la ZEE delle Filippine;
2. Se alcune caratteristiche geologiche, e in particolare Mischief Reef, Second Thomas Shoal e Johnson South Reef, tutti situati all’interno della ZEE filippina, sono bassifondi emergenti a bassa marea e quindi parte della piattaforma continentale sommersa delle Filippine e come tale sottoposta alla giurisdizione delle Filippine; e se Subi Reef, situato al di fuori della ZEE filippina ma all’interno della sua piattaforma continentale, è un bassofondo emergente a bassa marea e quindi non avente diritto a generare un proprio mare territoriale;
3. Se alcune caratteristiche geologiche, e in particolare Gaven Reef e McKennan Reef sono bassifondi emergenti a bassa marea che non hanno diritto ad un proprio mare territoriale ma la cui linea di bassa marea può essere utilizzata come linea base per la determinazione del mare territoriale delle isole di Namyit e Sin Cowe;
4. Se alcune caratteristiche geologiche, e in particolare Fiery Cross Reef e Cuarteron Reef, al di fuori della ZEE filippina ma all’interno della sua piattaforma continentale, sono semplici scogli sopra il livello del mare che non producono una ZEE;
5. Se Scarborough Shoal, a qualunque Stato esso appartenga, ha diritto solo ad un mare territoriale di 12 MN o anche a una ZEE di 200 MN.

Tutte queste controversie sono solo marittime e concernono l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Il giudice Carpio ha ribadito che le Filippine non chiedono al tribunale di decidere a quale Stato appartenga una isola o uno scoglio ma di pronunciarsi sull’estensione dei diritti marittimi (0, 12 o 200 MN) di certe isole e scogli a prescindere da a quali Stati appartengano e se alcune caratteristiche geologiche sono o meno bassifondi emergenti a bassa marea. Tutte queste controversie sono solo marittime e concernono l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.

Il giudice ha poi affrontato forse la controversia più conosciuto nel Mar Cinese Meridionale, ossia quella concernente le Isole Spratly. La Cina rivendica Fiery Cross Reef, Cuarteron Reef, Gaven Reef, Johnson South Reef, McKennan Reef, Mischief Reef e Subi Reef che sono attualmente tutti occupati dalla Cina stessa. La Cina ne ha motivato le rivendicazioni al fine di “migliorare le condizioni di vita e lavorative di quelli che stazionano sulle isole”. Il portavoce del Ministro degli Affari Esteri Hua Chunying ha affermato che la Cina stava costruendo “strutture civile come rifugi contro i tifoni, centri per la ricerca e il soccorso in mare, stazioni metereologiche, servizi per i pescatori e uffici amministrativi”. Ma il portavoce ha anche aggiunto che sarebbero stati usati dalla Cina per la difesa militare. A tal proposito l’inviato diplomatico presso gli USA, Cui Tankai, ha spiegato che avrebbero ospitato anche strutture militari. Il giudice ha quindi notato la similitudine con il caso di Mischief Reef, che inizialmente previsto come rifugio per i pescatori è divenuto poi presidio militare. Presso il Fiery Cross Reef la Cina ha progettato una base area con un porto la cui dimensione è pari alla superficie di 12 delle isole più grandi delle Spratly e doppia dell’area dell’isola di Diego Garcia, la base aerea americana nell’Oceano Indiano. Secondo il giudice Carpio tutte queste costruzioni nel Mar Cinese Meridionale stanno distruggendo l’ambiente marittimo, in violazione quindi della articolo 192 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare in base al quale gli Stati hanno il dovere di tutelare e preservare l’ambiente marittimo.

Un altro aspetto coperto dall’intervento del giudice ha riguardato la legittimità degli Stati a costruire isole artificiali sui bassifondi emergenti a bassa marea nella ZEE o nella piattaforma continentale. In base agli articoli 60 e 80 della Convenzione solo gli Stati costieri adiacenti possono costruirvi isole artificiali e di conseguenza isole artificiali costruite da un altro Stato nella ZEE o nella piattaforma continentale di un altro Stato sono illecite. E il giudice Carpio afferma che quindi le rivendicazioni cinesi sui bassifondi emergenti a bassa marea nella ZEE e nella piattaforma continentale delle Filippine sono illecite. E la Cina non può ricorrere all’articolo 87 della Convenzione per invocare la libertà dell’alto mare perché nel caso in questione si applica solo se uno Stato non può reclamare la piattaforma continentale al di là della sua ZEE e in ogni caso installazioni artificiali non possono essere utilizzate per fini militari perché l’alto mare deve essere usato esclusivamente per fini pacifici (art. 88). Il giudice ricorda poi che in nessun caso le isole artificiali possono avere un proprio mare territoriale in quanto non sono vere isole.

Il giudice ha ricordato che uno Stato non può invocare nemmeno diritti storici per rivendicare ZEE e piattaforma continentale questo perché la creazione di questi due istituti marittimi hanno estinto tutti i diritti storici o altre rivendicazioni nella ZEE di uno Stato costiero. Quindi la nine-dashed lines cinese non ha nessuna base giuridica. Tenendo anche presente la ben radicata dottrina del diritto del mare che afferma “la terra domina il mare”, la Cina dovrebbe misurare le proprie zone marittime dalle linee di base lungo la costa e in base a quanto recita la Convenzione (art. 3).

Il giudice ha ricordato anche che nel 2002 l’ASEAN e la Cina hanno firmato una Dichiarazione di Condotta in base al quale le controversie nel Mar Cinese Meridionale devono essere risolte in conformità ai principi del diritto internazionale, inclusa la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Tuttavia dopo che le Filippine hanno presentato il caso di arbitrato contro la Cina nel gennaio 2013 in base alla Convenzione, il ministro degli Esteri della Cina Wang Yi ha dichiarato che la controversia nel Mar Cinese Meridionale dovrebbe essere risolta in conformità con “i fatti storici e il diritto internazionale”.

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Il giudice Carpio ha quindi analizzato i seguenti fatti storici:
1. I cd. marcatori di sovranità della Cina nelle Paracel e nelle Spratly;
2. Mappe antiche della Cina e delle Filippine;
3. Le Costituzioni repubblicane della Cina;
4. Le dichiarazioni ufficiali della Cina alla comunità internazionale;
5. La veridicità delle rispettive rivendicazioni storiche della Cina e delle Filippine concernenti Scarborough Shoal.

Il giudice Carpio ha ripreso una ricerca del geografo francese Francois-Xavier Bonnet, presentata alla Ateneo Law School in Manila nel marzo 2015, che afferma che la Cina ha piantato artificialmente le sue “abbondanti prove storiche” nelle Paracel e nelle Spratly per smentire il primo punto. Per quanto riguarda il secondo punto, il giudice mostra che le mappe, ufficiali e non, della Cina dal 1136 durante la dinastia Song fino alla fine della dinastia Qin nel 1912 evidenziano che il territorio più meridionale della Cina è sempre stata l’isola di Hainan. Mentre le mappe delle Filippine, ufficiali e non, mostrano che Scarborough Shoal ha sempre fatto parte delle Filippine, inizialmente conosciuto con il nome di “Panacot”. Le costituzioni repubblicane, richiamando i confini nazionali del precedente impero, di fatto confermano che il confine più a sud è l’isola di Hainan. Dal 1932, la Cina dichiara al mondo che il territorio più a meridione è l’isola di Hainan ma che questa include le Paracel, anche se queste distano 145 miglia nautiche da Hainan. Nonostante che le mappe apparse tra il 1930 e il 1940 mostravano le Paracel come parte della Cina, le costituzioni repubblicane del 1937 e del 1946 dichiarano che il territorio rimane quello del precedente impero. Infine per quanto riguarda Scarborough Shoal, la Cina lo rivendica in quanto sarebbe l’isola di Nanhai visitata da Guo Shoujing nel 1279 dove avrebbe costruito un osservatorio astronomico. Tuttavia, in un documento intitolato China’s Sovereignty Over Xisha and Zhongsha Islands Is Indisputable pubblicato nel 1980, il Ministero degli Affari Esteri della Cina ha affermato che l’isola di Nanhai visitata da Guo Shoujing era in Xinsha o più note a livello internazionale come Paracel, distanti 380 MN da Scarborough. Questo documento era stato emesso per rivendicare i diritti cinesi verso le Paracel nei confronti del Vietnam. Il giudice ha quindi sollevato la contraddizione evidente e, date le dimensioni ridotte di Scarborough non ritiene nemmeno possibile la costruzione di un osservatorio come i precedenti costruiti da Guo Shoujing. Inoltre, il giudice ha citato il presidente di Taiwan Ma Ying-jeou, che appartiene al partito Kuomintang che nel 1947 ha adottato le nine-dashed lines, che nel settembre 2014 ha dichiarato che le rivendicazioni concernevano solo le isole e il mare territoriale adiacente nelle 3 miglia nautiche. Il presidente ha inequivocabilmente affermato che non ci fossero rivendicazioni in regioni marittime, sconfessando di fatto la posizione cinese. Mentre per quanto riguarda la base giuridica della rivendicazione delle Filippine su Scarborough è il trattato di Parigi del 1898 come poi emendato dal trattato di Washington del 1900 col quale la Spagna cedeva tutte le isole dell’arcipelago filippino agli Stati Uniti. Nel 1938 poi gli Stati Uniti avevano già determinato Scarborough come parte del territorio delle Filippine.

Il giudice ha concluso dunque che se la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare non si applica al Mar Cinese Meridionale, riconoscendo di fatto le nine-dashed lines, essa non potrebbe applicarsi nemmeno nelle restanti regioni marittime finendo col far prevalere la voce dei cannoni navali e quindi una corsa agli armamenti degli Stati costieri.

Grozio, nella sua opera Mare Liberum, aveva affermato che gli oceani e i mari appartengono a tutta l’umanità mentre Selden, in risposta nella sua opera Mare Clausum, affermava i diritti di proprietà delle potenze marittime. I due pensieri si sono contrapposti nei secoli che hanno visto infine prevalere il pensiero di Grozio che è divenuto la base del moderno diritto del mare. Il giudice ha affermato che la Cina sembra voler far rivivere il pensiero di Selden, appropriandosi del Mar Cinese Meridionale. Dunque se il tribunale dovesse accettare le nine-dashed lines attaccherebbe direttamente anche il pensiero di Grozio che è alla base del diritto del mare minandone le libertà: libertà di navigazione, libertà di sorvolo, libertà di pesca nell’alto mare, il diritto degli Stati costieri alla ZEE ecc.

domingo nolasco

Dopo una sezione di domande e risposte, la conferenza si è chiusa con l’intervento dell’Ambasciatore delle Filippine, Domingo P. Nolasco che ha ringraziato il giudice Carpio per l’intervento e la Sapienza e l’IsAG per l’organizzazione.

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