Judi Dench
Basato su una storia vera, che ha già dato vita al libro The Lost Child Of Philomena Lee (Martin Sixsmith, edito in Italia da Piemme), il film mette in campo in primo luogo una diversa visione del mondo e delle umane vicende espressa dai due protagonisti, il tema classico di uno scontro iniziale che volge al confronto sino a giungere alla comprensione reciproca, valida a conferire un senso inedito alla propria esistenza pur mantenendo diversità di vedute.
In seconda analisi risalta la durezza di un cattolicesimo istituzionalizzato, arroccato nei crismi di un credo punitivo e rancoroso, che non riesce ad amare il prossimo come se stesso, anzi lo relega in una situazione di sottomissione e disprezzo, cui si contrappone la fede più pura, scaturente dal cuore di chi dalla vita ha saputo accettare tutto, senza rimpiangere o recriminare alcunché, mantenendo fierezza e dignità pur nell’imposizione del “marchio dell’infamia” da parte di quanti hanno dimenticato la limpidezza della parola “perdono”, al di là di qualsivoglia connotazione offerta dalla religione professata.
Sophie Kennedy Clark, Philomena da giovane
Il suddetto lindore, espresso con disarmanti toni naïf, è quello proprio di Philomena Lee (Dench), infermiera irlandese in pensione, la cui esistenza è ancora tormentata da un ricordo indelebile che tiene stretto dentro di sé, risalente alla sua giovinezza, quando, siamo nel 1952, rimasta incinta dopo un rapporto occasionale, vissuto con lo slancio generoso, puro ed ingenuo proprio della prima volta, venne affidata dal padre (meglio, ceduta) alle suore di un convento presso Roscrea, fra i tanti rientranti nelle Magdalene Laundries, dove le “donne perdute” ripagavano l’accoglienza con i lavori di lavanderia e i loro figli, venuti alla luce senza alcun riguardo per la partoriente e il suo dolore, venivano venduti a quelle famiglie cattoliche di buon cuore e sottintese floride condizioni economiche. Stesso destino toccato, all’età di 3 anni, ad Anthony, il figlio che Philomena non è riuscita più ad incontrare, ignorando dove quel bambino sia cresciuto e divenuto uomo, quale posto, ormai cinquantenne, possa occupare nel mondo e cosa rammenti delle sue origini.
Dench e Steve Coogan
Una volta svelato il segreto a sua figlia, sarà quest’ultima a farle incontrare Martin Sixsmith (Coogan), giornalista, ex addetto alla comunicazione per il governo britannico di Tony Blair (il film si svolge nel 2003), il quale, nel tentativo di risalire la china, potrebbe interessarsi, per la pubblicazione su una rivista di gossip, della storia di questa donna così distante dal suo modo di vedere la vita: ateo, cinico e disincantato, forte di un’intelligenza allevata nei migliori istituti, caduto improvvisamente dal podio dei vincenti, esterna rancore verso tutto e tutti, al contrario di Philomena, che con l’intuito proprio degli “ultimi” descritti nel Vangelo, offre a quanti incontra identici sorrisi ed una genuina, calorosa, delicatezza, predisponendosi al’immedesimazione. La verità che verrà fuori si rivelerà sorprendente e spiazzante e, come già scritto, capace di conferire un diverso significato alle loro vite.
*Quattro candidature agli Oscar per Miglior Film, Attrice Protagonista (Judi Dench), Colonna Sonora Originale e Sceneggiatura non originale.