VINTAGE,
RICAMI,
E
CUORI AGITATI.
(Lo
voglio ricordare come la zia Chaperon del passato: abitino di pizzo e
collo jabot; come un putto del Bartolozzi mentre scocca la freccia al
cuore del mio innamorato.)
Nostalgie
del passato.
(Che
brava ragazza ero! Ma senza di lui, me lo scordavo il pezzo di
carta!).
Sono
contenta perché riesco a descriverlo come avrei voluto nei miei
sogni di bambina! Esterno
ciò che provo per lui da quando, quella notte di primavera seduta a
cavalcioni sopra al suo pizzuto copritazza, mi venne la bizzarra idea
di raccontarlo. Dove
potrei se non su di lui, aver concepito un’idea così stramba? D’altra
parte le poesie più dolci è lui che me le ispira; gli articoli che
scrivo sul quotidiano è il mio beniamino che me li detta. Le
lettere per i miei amori le ho composte e disegnate con la sua
consulenza e sempre con lui, ho preparato l’esame per la maturità. Allora
non c’era nulla che trattenessi: l’emozione e l’ansia erano talmente
violente che me ne stavo in bagno ventiquattr’ore su ventiquattro. Mia
madre, resasi conto della grave situazione, aveva creato una piccola
casetta tutta per me all’interno del gabinetto. L’allora
cesso, perché trenta anni fa circa di cesso si trattava, era stato
dotato di brandina pieghevole, tavolino da pranzo e zampironi al
fianco sul bidet, per le zanzare progenitrici delle zanzare tigre di oggi,
che a quei tempi non scherzavano affatto. Studiavo,
mangiavo, bevevo e dormivo sempre attaccata a te come si fa con la
copertina di Linus. Cinquanta
lunghissimi giorni e cinquanta interminabili notti fino al giorno
degli scritti, dove per mia fortuna ti ho portato con me nascosto
nello zaino. Non
esistevano le tecnologie di oggi e non ero ancora sufficientemente
esperta per crearti pieghevole per zaino o a scomparsa, dentro il
reggiseno. Ci
avrei guadagnato sicuramente due taglie in più, il che non avrebbe
guastato. Quindi
pensai di travestirti da vocabolario d’inglese, con la copertina
dotata di foro a misura del mio culetto di allora, che era veramente
piccolo e rotondo. La
forma da mandolino di granito, ora chissà perché è divenuto un
clavicembalo fiammingo del millequattrocentocinquanta: se lo sfiori
cascano i tasti, se lo suoni non è più accordato, se lo trasporti
si frantuma in mille briciole. E
meno male che non ti requisirono nella perquisizione da parte del
Commissario Interno agli esami di maturità, quando ti trovarono
nello zaino. Eri
solo un vocabolario usato, di colore rosso carminio, un po’ fuori
misura per la verità ma non se ne curarono più di tanto. Era
la prima prova importante della mia vita, quando prendere un pezzo di
carta era fondamentale. E
che pezzo! Nel
mio caso vuotai i bagni della Scuola di tutti i rotoli di carta
igienica trovati, arrivando anche ad usare le salviette per le mani,
ma erano di una carta talmente rigida e granulosa che mi escoriai le
paffute natiche. Per
i due mesi dopo il termine degli esami, non riuscii più a venire da
te; dovetti rimanere a letto adagiata su di un fianco. Per
i miei bisogni intimi, che oramai si erano un poco calmati, mamma mi
portava quella che io definisco la tua rivale in amore, quella che va
con tutti, poco seria in verità,la tua brutta copia insomma:
l’odiata padella! Riconosco
solo oggi che ero troppo agitata, la mia colite era alle stelle, tu
sempre a confortarmi, a dirmi di stare calma, che si sarebbe risolto
tutto e tutto sarebbe svanito in mezzo a quelle nuvole di concime per
granoturco. Ti
ho usato anche quella volta, mi sei stato vicino e ti ringrazio, mi
hai permesso di diplomarmi e di poter esibire il tanto temuto ma
guadagnato pezzo di carta! Temuto
per l’olezzo, ma guadagnato con il sudore della fronte e della
pancia, è proprio il caso di dire! Ma
perché non ci sei più con me? Perché
quando hanno demolito la vecchia fattoria non ti ho salvato e portato
con me, mio adorato? Perché
non ti ho esposto come trionfo e pezzo d’antiquariato pregiato ed
introvabile, nell’ingresso della mia casa nuova? Potevi
fungere da portaombrelli, potevo appenderti al muretto come cassetta
della posta, come fioriera per i gerani, in terrazza avresti fatto la
tua dignitosa figura, facendo girare tutti i passanti che nelle sere
d’estate, passavano davanti a casa mia per andare al Rosario di
Maggio. Ti
avrebbero guardato con bramosia, invidiando colui o colei che aveva
avuto l’idea! Oppure,
se ti coloravo, potevi diventare il nano Puzzolo, con la tua bella
pancia ed una catenella appesa avresti sicuramente salutato tutti a
comando! Sei
buono tu, docile, remissivo, accetti tutto quanto, ma se t’arrabbi.. Oppure..
che stupida sono stata! Dato
che i nonni rompevano sempre le tazze dove sul comodino mettevano le
protesi dentarie con il liquido disinfettante, ti avrei sistemato sul
loro comò e dentro potevo farvi galleggiare le loro protesi, mica
gli saresti caduto grande e robusto come sei! Ma
ci si pensa sempre dopo, si chiude la stalla quando i buoi sono già
scappati! Quando
ti hanno demolito con la ruspa assieme al resto della casa, solo il
coperchio si è miracolosamente salvato.“Un
segno del destino” mi sono detta, “il mio caro vecchio water non
vuole che ci separiamo e mi lascia qualcosa di sé, per sempre.” Ci
ho fatto un cappello, tanto era di colore nero quindi va bene per
ogni occasione e cerimonia. Vi
ho ricamato sopra a punto croce, il seguente epitaffio: “Qui giace
ciò che rimase del mio amor perduto.” Eri
un vero water d’epoca di ceramica bianca, firmata Pozzi Ginori, una
chicca per quei tempi. Il
colore era bianco che più bianco non si può, la tazza era a forma
di numero otto con le due pance perfette e rotondeggianti come l’ O
che fece Giotto! Rammento
il coperchio di color nero inferno, come la corda color oro di
Bologna per tirare l’acqua e la manovella a pois neri e bianchi. Manco
a dirlo anche il bidet a te attaccato, faceva pendant con la stessa
forma e colori. Non
sapevo mai dove mettere le gambe quando dovevo usare il bidet, ma non
c’era problema, una la mettevo sopra al tuo coperchio e l’altra sopra
alla vasca. In
questo modo però assumevo però una posizione molto sconveniente per
una ragazza perbene come me. Invece,
quando mi accomodavo dolcemente su di te, ero sempre composta, mai a
gambe aperte, anzi le accavallavo con quel fare un po’ civettuolo che
mi è rimasto addosso anche ora alla “sogliola” dei cinquanta! Tra
l’altro, la posizione che assumevo, era il mio anticoncezionale
naturale, me lo aveva insegnato la mia mamma, “Tieni le gambe
sempre unite e ben strette, ti diverranno diritte e non rimarrai mai
incinta!” Mai
dire mai, però. Le
gambe non si son drizzate e di figli ne ho avuti ben due!
..come aperitivo pre cena, come compagnia domenicale pre serale, ovunque tu vada, ovunque tu sia, che il water sia con te e non mandarlo mai più via!
Fabiana Schianchi.
Center detail of original engraving “The Hours” by Francesco Bartolozzi (Photo credit: Wikipedia)