Piangi Pagliaccio

Da Big @matteoaiello

Matte vi odia tutti. A prescindere che voi siate uomini, donne o bambini, Matte vi odia.

Ho visto Gara 5 in diretta e ho goduto. Mi sono messo subito a scrivere ma ero sveglio da quasi 24 ore e gli occhi mi sono letteralmente esplosi.
Perdonatemi.

Voglio fare un post diverso dal solito. L’ultima volta che ho visto in diretta una partita delle Finals era gara 7 tra Lakers e Celtics del 2010. Fu allucinante. Nessuno segnava. Sembrava quasi che lo facessero di proposito. Il 2010 fu anche l’anno della sesta ed ultima stagione di Lost e in onore alla serie televisiva che mi ha tolto non so quante ore di sonno, ci saranno continui sbalzi tra presente, passato e futuro.

Follow my leadership. I Miami Heat, che da ora in poi saranno i Miami Hate, sono nel tunnel dell’AT&T Center. Devono entrare a fare il riscaldamento per la partita del win or go home. Mai nessuna squadra nella storia dei playoff e delle Finals è riuscita a ribaltare uno svantaggio di 3 ad 1. LeBron James, the King, the Chosen One, li carica a dovere perché sa che può entrare nella storia. Vuole e deve essere il primo a compiere il miracolo: “Dobbiamo andare a Gara 6 e tornare a Miami. Follow my leadership“.
Emanuel David Ginobili è appena diventato Campione NBA. Peter Holt ha già alzato il Larry O’Brien Trophy, Kawhi Leonard è stato nominato MVP delle finali e un tipo che assomiglia a George Gervin ha intervistato Tim Duncan e Tony Parker. Adesso è il suo turno. “Gervin” gli fa notare che l’anno scorso sembrava in difficoltà mentre pochi minuti prima ha giocato una gara 5 mostruosa e con una primavera in più. Manu risponde che si sentiva molto meglio sia fisicamente che mentalmente. Frase di circostanza. “Gervin” lo incalza chiedendogli qual’è il segreto di questi Spurs. Manu risponde così: “Questa squadra non dipende dai singoli. Per questo è così meravigliosa”.

Circa un anno fa scrivevo questo: “Da una parte LA pallacanestro organizzata, trascinata dagli ultimi VERI cestisti nel senso letterale del termine e da un coach che ha sempre messo il gioco al primo posto. Dall’altra un circo volante fatto di pick and roll e di uno contro cinque con gli altri quattro spettatori non paganti. Ha vinto il circo. Perché è questo quello che è oggi l’NBA: un circo”.
Ero convinto che Miami facesse il three-peat e che lo Stempiato vincesse il suo terzo MVP delle finali consecutivo per essere definitivamente paragonato al Più Grande di Tutti. Ma mi sbagliavo. Nonostante l’NBA continui ad essere un circo pieno di animali non ammaestrati, quest’anno ha vinto la pallacanestro.
A San Antonio la conoscono come Sistema che non è quello che ti fa vincere al Superenalotto. Il Sistema consiste nell’adattare il gioco alle caratteristiche di ogni componente del roster e di mettere ogni componente del roster al servizio del gioco. Non esiste il follow my leadership perché la leadership sta nel trovare il giocatore giusto al momento giusto, lasciando un tiro o trovando uno scarico per l’uomo piazzato meglio. E’ un concetto che dubito che il prode Prescelto possa imparare, anche perché si impara costruendo. Mattoncino dopo mattoncino. Built vs. Bought. Costruiti contro Comprati. Quest’anno doveva vincere la pallacanestro.

Già, LeBron. Credo che non sia mai esistito uno sportivo più odiato dello stempiato di Akron. E pensare che è considerato il giocatore più forte del mondo e il simbolo dell’NBA.
Le Finals 2014 saranno ricordate, soprattutto, per gara 1 e per quel ridicolo siparietto che il Re ha imbastito ad una manciata di minuti dalla fine del 4° quarto, ennesimo caso di #lebroning, un neologismo coniato appositamente per definire i ridicoli teatrini che il Prescelto ci regala da oltre 10 anni: Si è rotta l’aria condizionata all’AT&T Center e fa un caldo sovrumano. La partita è tiratissima. Il Sistema sembra avere dei bug e nessuno ha l’antivirus. Ad 8 minuti dalla fine con Miami sopra 4, LeBron prende un tiro dall’angolo che sbaglia. Si gira verso la panchina ed alza un braccio, come se il professore avesse fatto una domanda agli alunni e lui, il primo della classe, conoscesse la risposta. La sua faccia è affaticata e dolorante. Resta seduto per quattro minuti. San Antonio ritrova vigore e Danny Green con due triple li riporta avanti. Per LeBron è il momento di rientrare. Follow my leadership. Punta in palleggio Diaw e va ad appoggiare di destro ma invece che fare una delle sue celebri pose o gli occhi a “cattivo” alza ancora il braccio, zoppicando. Lo vanno a prendere e sollevandolo lo portano in panchina. La sua partita è finita con quel layup. Green, Leonard e Parker piazzano tre bombe e San Antonio si porta a casa gara 1 sotto lo sguardo di un inerme LeBron che esce dal campo trascinandosi la gamba.
Penso che si sia rotto tutto. Tibia, perone, malleolo, menisco e legamenti. Anche perché se non si fosse rotto tutto sarebbe sicuramente rientrato. Invece, la realtà è ben diversa. LeBron, il Re, il Prescelto, il Leader, ha i crampi.
I crampi?
Fatemi capire, è uscito in braccio a due persone e non è rientrato negli ultimi 4 minuti di una gara 1 giocata punto a punto per i crampi?
Mi vengono in mente Paul Pierce, Isiah Thomas, Willis Reed e Kobe che con il tallone d’Achille rotto è andato in lunetta, ha fatto 2/2 ed è uscito senza fare alcuna sceneggiata.
E poi, ovviamente, c’è Lui.
In questo post mi ero promesso di non nominarlo ma dato che vi piace così tanto paragonarli non ho resistito. Anche perché quei 38 punti, tiro della vittoria compreso, con 39 di febbre me li ricordo ancora tutti. Canestro dopo canestro.

I wanna be the best of all time. That’s my motivation” disse lo Stempiato alla fine delle scorse Finali.

Avete ascoltato bene qual’è il Titolo preferito da MJ? Il 1996. L’anno del record delle 72 vittorie in regular season. LeBron avrebbe detto: “Assolutamente il 1993. Ho chiuso a 41.0 punti di media. Mi sono anche ritirato perché non c’era nessuno in grado di marcarmi!”.
E’ proprio questo il limite dello Stempiato.
La pallacanestro non è IO. La pallacanestro è NOI.
Ed è inutile si automotivi sull’essere il “best of all time” dato che, nonostante gli sforzi, non lo sarà mai.

E’ andata male LeBron, ma credo che tu sia abituato alla sconfitta. Con questa siamo a 2 vinte e 3 perse. Adesso riposati che tra meno di un mese dovrai imbastire The Decision 2.0.
Dove porterai i tuoi talenti?
Di sicuro non resteranno a South Beach.
Wade è bollito, Allen ha 200 anni, Bosh è una checca e gli altri sono scarsi. Lo so, gliel’avevi detto follow my leadership ma non ti hanno seguito. Or maybe you’re just making excuses.

Ho il terrore che tu possa venire dai miei Knicks ma la squadra è totalmente da ricostruire il che mi fa ben sperare.
Sei un bought, non un built.
Te ne tornerai a Cleveland, regalandoci l’ennesima pagliacciata dichiarando che è casa tua e che non hai mai dimenticato quei meravigliosi tifosi che hanno bruciato ogni tua maglia.
Frasi di rito.
Fasullo com’è non può dire che gli fa gola giocare con Kyrie Irving e con la futura prima scelta per dar vita ai nuovi Big Three e poter già da subito vincere l’anello. Deve pareggiare il conto tra le finali vinte e quelle perse e sono sicuro che ce la può fare. E’ il Re. The Chosen One. L’importante è seguire una sola regola: follow my leadership.

Questa te la dedico dal profondo del cuore.


Archiviato in:I Hate This Game Tagged: basketball, bosh, duncan, finals, ginobili, lebron, miami heat, nba, nba finals, parker, san antonio spurs, wade

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