- 18 agosto 2014
Di Mirella Astarita. Giuliano Poletti, il Ministro del Lavoro, parla riguardo quella che dovrebbe essere la nuova riformulazione del sistema lavoro, includendo anche l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma prima di dare spazio a congetture e ipotesi su nuove proposte, apriamo una parentesi su come si presenti, oggi, questo articolo.
L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio ’70, n.300), riguarda solo le aziende con almeno 15 dipendenti, ed asserisce che il licenziamento risulta esser valido solo se retto da giusta causa o giustificato motivo, se non vi sono questi presupposti, si fa ricorso.
Prima della riforma del lavoro, il giudice, riconosciuta l’illegittimità dell’atto, ordinava la reintegrazione del lavoratore (al suo posto originario), e il risarcimento degli stipendi non percepiti. La riforma va a modellare le ipotesi di licenziamento, ne riconosce tre separate.
Il licenziamento discriminatorio (per ragioni di credo politico o fede), quello disciplinare (motivato dal comportamento del lavoratore) ed infine quello economico che è regolato da ragioni inerenti l’attività produttiva. Qualora il giudice accertasse che non ricorrano i motivi del licenziamento, condanna l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria ridotta da 12 a 24 mensilità.
A riguardo Poletti dice di non volerlo abolire, e dribblando il solito braccio di ferro che si crea quando l’art.18 fa capolinea in Parlamento, afferma di volerlo inserire in un progetto che vada a recuperare il valore positivo dell’impresa, come infrastruttura sociale e indispensabile per la crescita e la creazione di lavoro.
Così il Ministro vorrebbe partire piuttosto che dall’art18 dello Statuto, dalla Costituzione, e in particolare dall’art.41 che tutela l’mpresa e le sue finalità e il 46 che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell’azienda. Il Ministro sottolinea che bisogna ragionare e lavorare sulla partecipazione responsabile, su una condivisione e cooperazione all’interno dell’azienda.
Il Ministro rassicura continuando “Se avessimo voluto togliere l’art.18 l’avremmo fatto con il decreto con il quale siamo intervenuti sui contratti a termine e apprendistato, ma abolire l’articolo andrebbe in contraddizione con la linea decisa dal governo”.
Poretti parla anche del “piano lavoro” che andrà in vigore da Gennaio. Il piano prevede la riforma del sistema dei contratti (quella sui contratti a tempo determinato è partita già a maggio), inoltre prevede meccanismi per diminuire la disoccupazione giovanile, e l’inserimento di maggiore tutele per i lavoratori e limitazioni per i contratti indeterminati. Ma questi punti, vengono presentati in modo poco chiaro, sembra che, al momento, il governo non abbia alcuna linea chiara e fedele da seguire. Ma Poletti continua dicendo che nel disegno di legge delega verranno affrontati tutti gli aspetti del mercato del lavoro, dagli ammortizzatori, alla revisione dei contratti e all’introduzione del contratto di inserimento a tutele crescenti. Su quest’ultimo apre una parentesi e ne anticipa alcuni aspetti. Lo si vuole rendere meno oneroso per le aziende, alleggerendone il carico fiscale e contributivo, queste modifiche lo renderebbero preferibile rispetto al contratto a termine senza causale.
Poletti si dice anche favorevole ad un intervento sulle pensioni alte a sostegno dei lavoratori, che altrimenti, rischierebbero di entrare a far parte della categoria degli esodati. Per gli esodati afferma anche che sia in costruzione un “ponte” per coloro che hanno perso il lavoro, ma la lunghezza e le prospettive di questo ponte sono strettamente collegate alle risorse a disposizione del governo.
In questo intervento il ministro ha espresso la certezza che l’art.18 non verrà né abolito, né modificato, ma che verrà, grazie al Piano Lavoro, quasi “stravolta” la struttura società-lavoro. Ora bisognerà vedere quanto e come saranno modificati i punti citati e quanto tutto ciò andrà a lenire la disoccupazione e a costruire un “porto sicuro” per l’immensa nave degli esodati.
