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Piano Renzi: i dubbi degli economisti e della UE, le certezze dei "filocazzari"

Creato il 21 aprile 2014 da Tafanus

I dubbi di Bruxelles sul piano Renzi:  "Debole su istituti bancari e debito" (Fonte: Federico Fubini - Repubblica)
Federico-fubiniI casi sono due, ci si è detti nei corridoi comunitari. O sarà impossibile attuare tutti quei propositi, anche con un mandato elettorale e una maggioranza in parlamento più chiari di quelli di Renzi. Oppure dietro al piano italiano non c'è convinzione, ma solo la fretta di sbrigare un'incombenza europea copiando e incollando vecchi testi.

Senza cambiare verso, senza dargliene uno. Senza riforme credibili, benché vengano accampate per rinviare la correzione dei conti pubblici. L'impressione a Bruxelles è stata spiazzante, e gli indizi del crescente sospetto con cui dal resto d'Europa si guarda all'Italia iniziano ad affiorare. Lo si è visto nei giorni scorsi, quando Pier Carlo Padoan ha scritto al vicepresidente della Commissione europea Siim Kallas. Quella del ministro dell'Economia era una lettera con una piccola dose di esplosivo, perché per la prima volta un Paese annuncia ufficialmente che non rispetterà i vincoli di bilancio del Fiscal Compact nuovi di zecca.

Il pareggio di bilancio "strutturale" (comunque un deficit reale) slitta già dal 2015 al 2016. Al ministro Padoan, rango politico nel governo, Kallas non ha neppure risposto da pari a pari: gli ha fatto scrivere da Marco Buti, funzionario a capo della direzione economico-finanziaria. E anche la lettera di Buti contiene un congegno detonatore, perché annuncia che la Commissione Ue risponderà alla richiesta dell'Italia "il due giugno". Subito dopo le elezioni europee, giusto per non turbare la campagna elettorale. Nel frattempo però la Commissione si è fatta dare i poteri di chiedere correzioni ai governi già in luglio, non appena sarà insediata la nuova squadra di Bruxelles.

Per il governo Renzi non sarà una passeggiata. Il premier si è convinto — lo dice in privato — che per l'Europa oggi "il problema è la Francia, non l'Italia". Eppure nel rapporto con Bruxelles e le capitali che contano qualcosa no funziona. È come se le comunicazioni fossero regredite a livello quasi solo formale. Il terreno per la lettera di Padoan, malgrado il suo forte impatto, è stata preparato solo da una chiaccherata dello stesso ministro a Washington durante gli incontri del Fondo Monetario. Non ci sono quasi altri canali di vero dialogo con l'Europa se non lui, che però è bloccato sui suoi compiti al Tesoro e comunque a Washington la scorsa settimana ha percepito il sospetto dei colleghi riguardo piani del governo. Né aiuta che Carlo Cottarelli, un'altra figura molto nota all'estero, abbia palesemente rapporti difficili con il premier.

In qualità di commissario alla spending review, Cottarelli avrebbe dovuto trasferirsi dal Tesoro a Palazzo Chigi già da settimane, a credere agli annunci. Poi però non l'ha mai fatto. Questi segnali in Europa non sfuggono. A Parigi, Berlino e Bruxelles è ormai unanime la convinzione che quella sul bonus da 80 euro sia poco più di uno zuccherino elettorale. Non parte di una strategia coerente per rimettere l'Italia in condizioni di crescere dopo un ventennio di stagnazione e crollo dell'economia.

Fra i funzionari della cancelleria tedesca il premier è stato soprannominato "Silvio Renzi", in Germania è una sorta di anatema. Ai vertici delle strutture francesi c'è chi si riferisce a lui come "un furbetto" e un "florentin", fiorentino, cioè un operatore machiavellico: così veniva definito anche il presidente François Mitterrand, ma senza il cliché di inaffidabilità italiana che Renzi chiaramente evoca.

Possibile che al premier non dispiaccia essere un po' in freddo con l'Europa: Mario Monti, François Hollande a Parigi o George Papandreou in Grecia hanno già dimostrato come buoni rapporti con Bruxelles possono costare voti a casa. Ma è una strategia con alcuni rischi concreti. Non c'è solo il calendario del Fiscal Compact, per quanto esso sia stringente: in estate l'Italia rischia una bocciatura sul piano di riforme e il rinvio del pareggio, che può obbligarla a rivedere la manovra; e in autunno rischia una procedura per debito o deficit eccessivo che, con il Fiscal Compact, diventa di fatto una messa sotto tutela.

Poi c'è una partita anche più seria. In settimana alla Banca centrale europea si sono definiti i criteri con cui le banche saranno sottoposte in estate agli stress test, le "prove di sforzo". Fra gli istituti 15 sono italiani. L'obiettivo di fondo è vedere quanto le banche possono resistere a un'altra crisi sui titoli di Stato, di cui le aziende di credito in Italia hanno pieni i bilanci. Se dopo gli "stress test" l'Europa chiederà di rafforzare il capitale delle banche oltre quanto può dare il mercato, il governo dovrà fornire le risorse. Chi ha tassato le banche per dare 80 euro ai cittadini, presto può dover tassare i cittadini per dare decine di miliardi alle banche. Non è un'ipotesi peregrina: più un Paese attrae sfiducia, più l'esame sulle sue banche sarà severo e il risultato negativo. Ascoltare un po' di più l'Europa può costerà anche dei voti, ma può anche far risparmiare parecchi soldi agli italiani.

Federico Fubini

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Le quattro domande degli economisti de lavoce.info sul DEF

Tito-boeri
Il Def ci fa fare piccoli passi in avanti nel capire quale sarà la politica economica del Governo Renzi. Per avere un’idea degli interventi immediati, c’è bisogno di chiarimenti. Poniamo alcune domande a crocette, che non dovrebbero portare via troppo tempo a un governo che va di corsa.

 

I titoli sono quelli giusti: detassare il lavoro e tagliare la spesa, partendo dal dare buone esempio con manager e dirigenti pubblici. Nulla da ridire anche sul fatto di tassare il regalo fatto sotto il governo Letta alle banche con l’operazione quote Banca d’Italia. Sotto, il dettaglio di quanto costerà alle singole banche.

Dietro a questi titoli ci sono molti dettagli importanti (spesso più dei titoli). Il tempo a disposizione per scrivere i provvedimenti, compresi i tagli di spesa che vanno sotto al nome di spending review si va esaurendo. Sugli sconti in busta paga non si può andare oltre il 18 aprile (ci siamo già andati. NdR)

Nel frattempo ci accontenteremmo dunque di guardare ai saldi contemplati dal Documento di Economia e Finanza. E’ un documento molto lungo, con molto testo, molti box con freccette stile articolo di giornale e pochi dati. Rassicurante notare che il lungo elenco di azioni del piano nazionale delle riforme è coerente con gli annunci fatti il 12 marzo. Solo le scadenze sono un po’ più generose e forse più realistiche (vedi sotto).

Data la vaghezza del Def avremmo tante domande da porre. Ci limiteremo a quattro quesiti. Nel porli spieghiamo anche perchè sono importanti e non pignolerie. E forniamo risposte a crocette così da portare via meno tempo possibile a chi vorrà gentilmente risponderci:

 

1. A quanto ammontano complessivamente i tagli di spesa contemplati nell’ambito della spending review per il 2014?

  • 4,5 miliardi
  • 6 miliardi
  • 9 miliardi

Nel DEF si fa riferimento a 6 miliardi di tagli provenienti dalla spending review. Nella conferenza stampa di presentazione del DEF si è invece parlato di 4,5 miliardi che andrebbero a finanziare l’operazione sul cuneo. In attesa di sapere in che cosa consistano questi tagli, viene da chiedersi se questi 6 (o 4,5) miliardi comprendano i 3 miliardi già contemplati dal governo precedente, di cui all’audizione del Commissario Cottarelli alla Commissione Bilancio della Camera o siano aggiuntivi rispetto a questi. La domanda è importante per capirne la fattibilità dei tagli. Secondo il commissario negli otto (ormai 7) mesi residui, i tagli tecnicamente fattibili non supererebbero i 3 miliardi da aggiungersi ai 3 già preventivati, per un totale, dunque di 6 miliardi. E non ci risulta che i provvedimenti (i tagli si fanno per lo più per legge non per semplice atto amministrativo) siano stati scritti.

 

2. Quanto costa a regime il taglio del cuneo fiscale?

  • 10 miliardi
  • 14 miliardi

Il Presidente del Consiglio nella conferenza stampa si è impegnato ad assegnare gli 80 euro al mese in busta paga da maggio anche ai cosiddetti incapienti. Questo fa salire il costo dell’operazione di 4 miliardi (1000 euro per 4 milioni di incapienti) rispetto ai 10 preventivati. Eppure il Governo (e il DEF) continuano a fare riferimento a 6,6 miliardi da coprire nel 2014 (dovrebbero essere più di 9 applicando pro-quota agli ultimi 8 mesi il bonus di 80 euro per un costo annuale di 14 miliardi). O forse si pensa di dare agli incapienti meno di 80 euro a testa?

 

3. Quanto del taglio del cuneo fiscale verrà finanziato con misure strutturali nel 2014?

  • al 100%
  • per più del 75%
  • per più del 50%
  • per più del 25%
  • per meno del 25%

Il governo si attende un forte stimolo alla crescita dal taglio del cuneo fiscale (più di mezzo di punto di pil a regime). Ma gli effetti espansivi di questa misura sono strettamente legati a come verrà attuata la riduzione del cuneo. In particolare conta se verrà percepita come permanente o temporanea (e il dubbio è legittimo dato che siamo in campagna elettorale) dalle famiglie. Il Governo si è a più riprese impegnato a trovare fin da subito coperture strutturali ma sin qui nelle conferenze stampa si è fatto riferimento soprattutto a provvedimenti che non sono strutturali, quali

 

  • # la tassazione al 26% (anzichè al 12%) delle plusvalenze sull operazione quote bankitalia (un’operazione tra l’altro a rischio infrazione)
  • # l’IVA sui pagamenti dei debiti della PA (che anticipa al 2014 entrate già previste nel 2015)
  • # la regolarizzazione e rimpatrio dei capitali dall’estero.

 

4. È il decreto lavoro, che liberalizza i contratti a tempo determinato, la riforma strutturale del lavoro?

  • SI
  • NO

Le riforme strutturali sono fondamentali per rilanciare la crescita se non nell’immediato nel giro di qualche anno e per guadagnarsi margini di manovra a Bruxelles. Nella conferenza stampa di presentazione del DEF il Presidente del Consiglio ha sostenuto di aver rispettato l’impegno di riformare il mercato del lavoro a marzo e nel DEF in effetti si sostiene che la riforma volta a “rendere i contratti a termine più coerenti con le esigenze dell’attuale contesto occupazionale” è già stata fatta a marzo. Viene perciò da chiedersi se il jobs act consista unicamente nel decreto che liberalizza i contratti a tempo determinato. Un’altra possibilità è che lo scadenzario riguardi la data in cui i provvedimenti vengono approvati dal governo anzichè la data in cui entrano in vigore.

 

Cattura

 

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Infine, una piccola parte delle considerazioni di Eugenio Scalfari di oggi:

Eugenio-scalfari
[...] l'operazione di taglio del cuneo fiscale è preoccupante: appartiene a quel tipo d'intervento, specie per quanto riguarda le coperture, gran parte delle quali scricchiolano, cartoni appiccicati l'uno all'altro con le spille che spesso saltano via; sicché non è affatto sicuro che convinceranno le autorità europee a dare via libera e concedergli di rinviare a due anni il rientro nel limite del 3 per cento del rapporto tra il Pil e il deficit del debito pubblico.
E poi: la tassa sulle banche è retroattiva e comunque è una una tantum non ripetibile, i tagli della Difesa sono rinviati ma non aboliti; il maggior incasso dell'Iva è un anticipo d'un anno e ce lo troveremo sul gobbo nel 2015; il pagamento dei debiti alle aziende creditrici, che doveva essere almeno di 17 miliardi, è stato ridotto a 7. Infine gli incapienti con redditi inferiori agli 8 mila euro annui e quindi esentati dal pagamento dell'Irpef avrebbero dovuto precedere per evidenti ragioni di equità il bonus in busta paga che premia i redditi superiori. Senza dire dei contributi da parte dei Comuni il cui pagamento però può essere accompagnato dall'aumento delle imposte comunali che potrebbero vanificare o ridurre fortemente il bonus di 80 euro in chi in quei Comuni risiede [...]

Studiate, ragazzi, studiate... altrimenti correte il rischio di diventare, da grandi, come Silvio Renzi. O (Dio ci salvi!) come Beppe Grullo.

Tafanus


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