Sono passati 12 anni dalle giornate di Genova del luglio 2001 e poco di più da quelle di Puerto Alegre o Seattle. In questi anni abbiamo assistito a sgretolamenti di sistemi di protezione sociale e depredazione di territori, che da beni comuni si trasformano in risorse di profitto per pochi. Non solo quindi aggressione all’ambiente e a quelle che sono le risorse naturali del nostro pianeta, ma veri e propri attacchi alla sfera dei diritti e della dignità delle persone. ”Un altro mondo è possibile” non era ne è un semplice slogan . Attraverso quel semplice concetto si esprimeva la progettualità della compatibilità ambientale e dello svincolo della logica del profitto sui Beni Comuni, ma soprattutto una precisa inversione di rotta rispetto ad un concetto di ridistribuzione che impedisca la concentrazione di ricchezze da parte di pochi a scapito di milioni di persone.
A queste ragioni la politica delle finanziarie e delle banche ha sempre risposto con la repressione poliziesca e il terrore. Le recenti stragi di lavoratori in Bangladesh e le vittime in Cambogia, ci riportano a un quadro di privazione di diritti non accettabili e un richiamo ad una rivendicazione transnazionale sulle tematiche proprio del lavoro.
Per queste ragioni i seicento alberi del Gezi Park di Istambul diventano un simbolo che va ben al di la di una difesa solo ambientale da parte di migliaia di turchi che non ci stanno, nel mezzo di una crisi sempre più opprimente ad accettare quella che è un’opera solo in grado di fare girare grandi capitali a favore di chi i capitali li ha già e li utilizza per le speculazioni che hanno generato la crisi sistemica attuale. Siamo pertanto al fianco di tutti coloro che oggi in Piazza Taksim ci ricordano che “un altro mondo è possibile”.
Loris