Con il feroce sviluppo economico otto-novecentesco scompare gran parte del sottoproletariato italiano, le città industriali sono la meta, i borghi si spopolano e soprattutto si crea una cesura netta tra cultura cittadina e cultura contadina, tra cultura accademica e popolare, in altre parole inizia la riduzione tra colto e ignorante che rappresenterà un vero e proprio marchio sociale.
Giosuè Carducci visse sulla sua pelle questa dialettica attraverso lo scontro tra sentimento popolare e accademicità dei suoi testi.
È ancora un mistero la quasi totale assenza di studi sulle radici apuane della poesia carducciana. Ma alla luce delle considerazioni sopra fatte, tanto mistero non è.
Uno studio, ad esempio, avrebbe sicuramente messo in evidenza l’impatto che il fascino, gli usi, i costumi, la lingua di Valdicastello, Seravezza e Pontestazzemese hanno avuto sul poeta nei suoi primi anni di vita. Una specie di “impronta apuana” che si ritrova poi in tutti gli scrittori, poeti, artisti, saggisti, nati o legati a questi territori. L’”umido di terra” con il quale Ungaretti definì il seravezzino Pea.
E come non leggere lo stesso conflitto interiore in “Davanti a San Guido”:
“Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.”
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