Piccola storia

Da Mercedescoach

Nessuno sapeva. Ma nessuno. Che quando lui con tutti i suoi muscoli e i ricci spegneva la luce del suo comodino, qualsiasi ora fosse, metteva le sue mani a preghiera sul petto e ripeteva a basa voce, farfugliando, un padre nostro e tre ave maria. Senza aver imparato il rito da nessuno. Nè la mamma ne il papà abituati a prendere dalla vita ciò che arrivava mettevano le mani in preghiera prima di dormire. Ringraziava e chiedeva. Ringraziava soprattuto. Per la salute, mamma e papà, il fratello, le sorelle, gli amici, il calcio, le piccole soddisfazioni, il caffè latte del mattino anche se gonfia la pancia perché ormai non ha più vent'anni, gli aperitivi attorno al fuoco. Per il lavoro non ringraziava perché lo si era guadagnato. Come si guadagnerebbe qualche altro se questo mancasse. Ma quasi tutto il resto ringraziava. E chiedeva. Poco, ma chiedeva. Era una richiesta più che di cambiamenti, di continuità. Che tutto andasse avanti così. Felice a scatti. Magari con un amore col quale contendersi le coperte nel corto inverno e poi soltanto stare tranquilli. Fare colazione. Mandarsi un messaggio in tarda mattinata, passarsi a prendere, uscire la sera per una birra all'angolo di Rivadavia e Buenos Aires, magari con qualche amico. Guardasi negli occhi vedendo la mappa dei confini disegnata nelle pupille. E passeggiare dentro sentendosi comunque liberi.