In questi giorni, proprio mentre questo post si pubblica automaticamente, la mia presenza fisica è molto lontana dalle delizie del blogging: sto trascorrendo il mio tempo a Parma, a causa di una rassegna fieristica alla quale la mia azienda partecipa. Mi ritrovo dietro un banchetto a cercare di gestire una moltitudine assurda di persone, mentre la mia testa è ovviamente altrove. Cercherò di resistere, come ho sempre fatto, cercando da un lato di portare a casa la pagnotta e, dall'altro, di gioire di quelle piccole cose che rendono le giornate interessanti anche quando, teoricamente, non lo sono affatto. La fiera in questione è piuttosto famosa, e, se siete amanti della vita all'aria aperta e delle vacanze "on the road", allora avrete sicuramente già capito di quale manifestazione si tratta. Ma non è di questo che oggi voglio parlarvi.
Come avrete già capito dal titolo di questo post, si replica oggi il consueto appuntamento annuale con il resoconto delle mie letture estive. Non si tratta, come d'altra parte è evidente, di accurate recensioni. Diciamo piuttosto che ciò che leggerete sono più che altro delle segnalazioni anche se, tecnicamente, il termine non è del tutto corretto in quanto "segnalazione" di solito si adatta meglio a titoli di recente uscita. Rispetto allo scorso anno ho dedicato molto meno tempo alla lettura, e sebbene il numero dei titoli sia più o meno equivalente alcuni di essi sono decisamente brevi, il che si riflette in un numero di pagine complessivo ai limiti dello scandaloso.
Ma bando alle ciance. Il primo titolo è "L'avvio e la perdizione" di Ornella Spagnulo. Un titolo che, ripensandoci adesso, avrei potuto utilizzare per il primo post di apertura della stagione. Ornella Spagnulo è un'amica, oltre che una collega blogger, e di conseguenza mi pareva bello concedere a lei il piccolo privilegio di inaugurare questa rassegna. Dal sito della casa editrice: "Ornella Spagnulo rende l’interiorità un elemento capace di ispirare e riflettere non solo un’identità singola, ma la condizione umana nelle sue debolezze e nelle sue aspirazioni più profonde. Gli psico-drammi amorosi e il tempo che passa senza sosta sono il tessuto sostanziale dei versi dell’autrice, che trova nella poesia “L’avvio e la perdizione”, una rinascita e affermazione di sé e un allontanamento ulteriore dal conformismo. L’effetto è avvincente. La poetessa ferma, ingigantisce e trasforma nel verso le nostre sensazioni più intangibili e sotterranee, con uno stile che coniuga passato e presente per restituire alla poesia la sua essenzialità". Chi tra voi si ricorda la mia recensione al concept-book "The Wall" e l'intervista che ne seguì non potrà fare a meno di notare diverse similitudini con questa piccola raccolta di poesie che, sebbene io non sia un gran lettore del genere, non ho potuto fare a meno di apprezzare. Sarà forse per via del fatto che avevo già avuto modo di conoscere Ornella attraverso uno dei suoi precedenti lavori, ma i versi che vengono qui proposti sono delle piccole fotografie di vita nelle quali è facile immedesimarsi, nonostante il solco tra il detto e il non detto sia inevitabilmente profondo. Se avete quindi voglia di trovare un momento che sia tutto vostro, un momento da dedicare alla ricerca interiore e che vi consenta di superare il vostro passato e di evolvervi nel vostro futuro, questo è senza dubbio il libro che fa per voi.
Milo è un ragazzino di undici anni che ha perso la madre da poco. Durante una vacanza in campagna scopre una cantina abbandonata pieni di oggetti antichi. Affascinato ne sottrae alcuni. Così cominciano i sogni, visioni angoscianti di quanto accaduto a Parigi nel 1873, nella lurida soffitta del pittore André Dubois, il quale, ispirato dal suo modello preferito Coquin Mechant, dipinge lo strazio di bambini mendicanti. La vicenda di questi quadri misteriosi attraverserà più di un secolo, incrociando molti eventi drammatici della nostra storia, provocando morte e disperazione. A Milo, maturato in fretta, toccherà scoprire che il male si serve delle debolezze umane per affermare il suo potere.
Pur nella sua brevità (poco più di un centinaio di pagine) sono molte le emozioni che si rovesciano su noi lettori, che ci vediamo catapultati quasi senza accorgercene in un universo popolato da pittori maledetti e dai loro angoscianti dipinti, oscuri messaggeri di morte e di eterna dannazione. Non è sicuramente un caso che il sottoscritto si sia lasciato trasportare, senza porre la benché minima resistenza, nella lettura de "I colori del male": da sempre i miei più angoscianti incubi provengono da libri e film dove un quadro, nella duplice veste di istantanea del lato oscuro delle cose e di passaggio tra due mondi paralleli fra loro e incompatibili, è protagonista. Mi viene in mente, così sui due piedi, "Il ritratto di Dorian Gray" oppure, se mi perdonate l'accostamento, lo sconvolgente pittore delle agonie raccontato ne "La casa dalle finestre che ridono" di Pupi Avati. Ne "I colori del male" siamo più dalle parti del secondo che del primo: un paesaggista dell'Ottocento, tale André Dubois, ha lasciato un'eredità terrificante che attende solo di essere rivelata attraverso piccoli indizi, antichi ricordi, i frammenti di un diario, gli oggetti rinvenuti in un'antica magione abbandonata. Esistono davvero quei ritratti agghiaccianti, risalenti a un misterioso "periodo parigino", che alcuni avrebbero riconosciuto qua e là in in tutta Europa nei secoli passati? E chi è, se non il sinistro pittore, colui che ancora oggi porta quel suo ripugnante progetto nel nostro mondo attraverso una sorta di comunicazione onirica?
Ma qual è l'eccezionalità di questi racconti? Semplicemente, Edward Page Mitchell riuscì ad immaginare situazioni e scenari che sarebbero ricomparsi, anche solo come idea, solo diversi decenni più tardi. Ne "L'uomo senza corpo" (1877) Mitchell immaginò per esempio il teletrasporto con ben 90 anni di anticipo rispetto all'esordio della serie "Star Trek", ne "La Tachipompa" (1872) egli definì un sistema per raggiungere velocità sempre maggiori utilizzando un metodo, quello della Relatività Generale, che Albert Einstein avrebbe descritto solo 30 anni più tardi. Ma non è tutto: ne "Lo spettroscopio dell'anima" (1975) viene proposto un sistema per imbottigliare la musica e renderla così disponibile al pubblico al prezzo di un dollaro a bottiglia. Un'idea che non solo anticipò di due anni l'invenzione del fonografo di Edison, ma che per certi versi è molto più simile all'idea di musica on-demand di cui godiamo oggi dopo l'avvento di internet. Potrei portarvi numerosi altri esempi ma, in questa sede, preferisco rimandarvi alla lettura della postfazione de "La Tachipompa e altre storie", disponibile integralmente sul sito Vaporteppa. A noi basta dire, per concludere questa breve presentazione, che leggere Edward Page Mitchell è un'esperienza entusiasmante. Aldilà dello stile un tantino incerto, ovviamente legato alla sua epoca, è possibile riconoscere nell'opera dell'autore americano un talento indiscutibile e una capacità di analisi senza precedenti.
Opera prima dello scrittore goriziano, che raggiungerà il successo planetario un paio di anni dopo con il celebre "Canone inverso", "La variante di Lüneburg" mostra già chiaramente l'abilità del suo ideatore a comporre puzzle talmente complessi che il lettore faticherà non poco, e solo attraverso il suo aiuto, a districare. Se questo fosse un libro giallo sicuramente non avrebbe nulla da invidiare ai grandi classici del genere, ho pensato. Ma questo non è un libro giallo, questo offre molti più spunti di quanti un libro giallo abbia mai offerto, pur mantenendone l'estetica e regalando quella rara emozione che ci costringe a leggere un rigo dopo l'altro per arrivare il prima possibile alla parola fine. Curiosa e intelligente è la scelta di Maurensig di alternare l'io narrante nel momento in cui quest'ultimo avrebbe rischiato di rivelare anzitempo particolari troppo importanti per il lettore. Il finale però lascia una vaga sensazione di incompiutezza, difficilmente descrivibile. Dopo aver girato l'ultima pagina mi sono sentito un po', come dire, derubato di qualcosa che mi stava appassionando.
Paolo Maurensig è ritornato sull'argomento scacchistico in tempi recenti con il suo ultimo lavoro, datato 2013, dal titolo "L'arcangelo degli scacchi: vita segreta di Paul Morphy" (Mondadori), dedicato ad uno dei più grandi talenti che il celebre gioco di strategia abbia mai avuto. È facile, aggiungo io, identificare nella figura di Paul Morphy anche uno dei protagonisti de "La variante di Lüneburg", il tenebroso Tabori, un campione di scacchi precipitato nell'inferno dei lager nazisti.
Helena Petrovna Blavatsky mi affascina ormai da un sacco di anni, da quando lessi il suo nome sullo scaffale di una celebre libreria esoterica di Milano (oddio, non so quanto sia celebre in generale, ma per me lo è). Una figura singolare che, in vita, è sempre additata come “una dei più abili, ingegnosi e interessanti impostori della storia” (come sentenziato dalla Society for Psychical Research), appellativo che ancora oggi, a un secolo di distanza, non le si è staccato di dosso, nonostante le pubbliche scuse, giunte ormai postume, da parte dei suoi più importanti detrattori.
Il volume, scritto da Paola Giovetti per Edizioni Mediterranee, racconta la vita della Blavatsky sin dalla sua fanciullezza e le circostanze che la condussero alla realizzazione del suo testo più famoso, opus magnum del pensiero teosofico: "La dottrina segreta" (1888). Un giorno magari ne parleremo più diffusamente qui sul blog. Sicuramente meglio di quanto fatto in passato.
Per quest'oggi è tutto. Ma non "tutto" nel senso più definitivo del termine. Ho ancora diversa carne al fuoco ed è matematico che si tornerà presto a parlare di libri da queste parti. Presto quando? Molto presto, ve lo assicuro.