Nel suo piccolo quindi, Stine, riuscì sapientemente a ritagliarsi una fetta di mercato ben specifica, vendendo migliaia e migliaia di copie e meritandosi la realizzazione di una serie televisiva dal nome omonimo della collana, una serie in cui quelle stesse storie venivano adattate in live action, mantenendo lo stesso grado di soft-horror che aveva costituito la loro immensa fortuna su carta stampata.
Fedeltà che, al contrario, al cinema evapora completamente nella pellicola diretta da Rob Letterman, il quale, per ridare vita ad un marchio ormai spento da anni, si butta direttamente sulla commedia fantasy per ragazzi, rinunciando a creare un ibrido di genere orrorifico, probabilmente perché poco contestualizzabile a livello cinematografico. Si affida così all'usato sicuro firmato Jack Black, chiamato questa volta a funzionare più da collante che da mattatore, in mezzo ad un trio di adolescenti su cui spiccano i volti di Dylan Minnette e Odeya Rush, col terzo incomodo di Ryan Lee, caratterista alle prime armi volenteroso di giocarsi al meglio le sue carte. L'intento è quello di costruire un coming-of-age delineato e scolastico, che onora il franchise di "Piccoli Brividi" solamente per quel che concerne la maturazione (e la crescita) del personaggio, quella che in questo caso funziona a doppio livello, implicando sia la figura del giovane orfano di padre, sia quella di Black, alias Stine, in collera con il mondo intero. Di brividi, dunque, nemmeno l'ombra, sebbene Slappy, l'alter ego di Stine (doppiato da Black, ovviamente), dall'alto della sua estetica poteva farsi carico del lavoro sporco ed agire come l'Annabelle di turno, piuttosto che come Chucky, riesumando, magari, lo stesso filtro preso in considerazione dalla serie tv e provando a sollecitare quei brividi piccoli (ma andava bene anche piccolissimi) promessi dal titolo, senza andare incontro ad una censura VM14.
Un po' lo stesso discorso che vale per Jack Black e il suo ritorno: attesissimo per chi ama l'attore dai tempi di "School Of Rock" e, di conseguenza, deludente considerata la potenza della sua vena comica e la gestione che questo "Piccoli Brividi" decide di farne.
Deludente allora sotto ogni punto di vista, la versione in grande stile dei racconti di R. L. Stine non fa altro che confermare quanto la fortuna del loro autore dipendesse dal raggio d'azione e dal campo contenuto su cui aveva deciso di andare a muoversi e a praticare.
Che piaccia o no, del resto, ai piani superiori ci sono concorrenti più efficaci, quelli che per quanto a lui possano dar fastidio, o fare invidia, hanno dimostrato con la loro inventiva di prestarsi al grande schermo con maggior naturalezza e maggiori esiti.
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