Aveva iniziato la sua carriera come ufficiale dell'esercito austriaco, dal quale si dismise nel 1848 assumendo il comando delle truppe insorte contro l'Austria in Cadore; nonostante gli sforzi i cadorini furono costretti a cedere e Calvi si rifugiò a Venezia, dove il governo neo-repubblicano (istituito da Daniele Manin e Nicolò Tommaseo) gli affidò il comando della legione dei "Cacciatori delle Alpi". Il Calvi si coprì di gloria a Venas e a Oltrechiusa, dove combatté contro duemila Austriaci, e poi ancora nei pressi di Longarone; sconfisse i nemici a Rovalgo, al Boite, in Val di Rendimera. Ma la mancanza di armi, di munizioni e di viveri lo costrinse ad abbandonare il Cadore, e il Calvi, con la generosità consueta, corse a difendere Venezia. Caduta la città nel 1849, andò in esilio in Grecia e, successivamente, in Piemonte (dove entrò in contatto con Mazzini) e in Lombardia, dove venne arrestato dalla polizia austriaca.
La fierezza e la gentilezza di Calvi rimasero leggendarie: al giudice che gli lesse la sentenza di morte offrì un sigaro e al boia che lo voleva aiutare a salire i gradini del patibolo disse: "Grazie, le mie gambe non tremano".
Una lapide in Campo dei Gesuiti è a lui dedicata.