Piero Barbera, Ricordi

Da Paolorossi

E, del resto, non è da meravigliarsi s’ io serbi memoria viva di cose occorse quando ero decenne, chè mi ricordo di altre ben più remote, come l’entrata di Pio IX in Firenze, che è del 1857, quando io avevo appena tre anni. Mi par di vedermi ancora ritto sopra il davanzale d’ una finestra, al pianterreno d’ una casa in via Larga (ora ria Cavour), dirimpetto a quella che fu di Gioacchino Rossini. La finestra aveva l’inferriata, e, attraverso a quella, vidi passare il cocchio scoperto con entro una bianca figura, che sola attrasse, in quell’attimo, la mia infantile attenzione; ma si sa che a fianco del pontefice stava il granduca Leopoldo II, giacchè la circostanza risulta da un epigramma di quell’arguto spirito toscano che fu Vincenzo Salvagnoli, amico di mio Padre e felice profeta della sua fausta carriera di editore, come lo fu della decadenza a data fissa della dinastia lorenese. L’epigramma dice:

Miracol d’umiltà sublime e raro,
Entrò Cristo in Sion sopra un somaro.
Entrò in Firenze il suo vicario santo,
Anch’ei col ciuco ; ma l’aveva accanto.

Dopo questo ricordo del 1857, c’è nella mia memoria una lacuna di due anni, fino al 1859. Mi ricordo dello sbarco delle truppe francesi nel porto di Livorno, e vedo ancora un cavallo disceso imbracato da un vapore sopra una zattera, e una vivandiera in divisa militare a cassetta d’ un furgoncino, come quelli delle nostre poste, fermo ai Quattro Mori, e l’accampamento degli Zuavi alle Cascine di Firenze.

Mi ricordo pure di aver assistito, in Santa Croce, ad una funzione per i morti di Curtatone e Montanara e riveggo nei posti riservati la testa calva del gonfaloniere Ferdinando Bartolommei in lucco giallo e rosso e Carlo Boncompagni che procurava di tenersi impettito nella grave divisa gallonata di diplomatico.

Firenze – Santa Croce

Pare impossibile che io mi rammenti così bene di avvenimenti di mezzo secolo fa, e così poco di casi occorsimi mesi or sono; ma questo è fenomeno comune, facilmente spiegabile e sul quale non serve trattenersi.

A leggere e scrivere m’insegnò quello zio prete, che mio Padre ricorda nelle « Memorie », descrivendolo come un don Abbondio; ma, vorrei aggiungere, con un pizzico di don Chisciotte ; in realtà un eccellente uomo, che mi amava immensamente e che preconizzava grandi cose di me, tenendomi in conto di un piccolo prodigio. Colpito da paralisi, ebbe licenza di dir messa in casa, e si provò a insegnarmi a servirla, ma, trovatomi a ciò renitente, lasciò correre. E’ singolare questa mia istintiva avversione alle forme del culto, di cui detti presto altre prove. Ricordo che, messo a scuola da un modestissimo maestro in via Guelfa, che allora si chiamava via Evangelista, la mia condotta non dette luogo a rimproveri o punizioni, tranne una volta, per cattivo contegno durante la preghiera, che si faceva a mezzogiorno.

Non mi ero mostrato beffardo, ne distratto, ma nervoso e agitato, come un diavolo in una pila d’acqua santa, e quando, poco dopo i sette anni, mi si parlò della cresima, mi ribellai, perchè lo zio prete mi aveva detto che l’arcivescovo mi avrebbe dato uno schiaffo sulla gota, mormorando parole latine (« pax tecum!»). Curioso e interessante fenomeno, inesplicabile con le teorie atavistiche, giacché, tanto nella famiglia paterna quanto nella materna, il fervore per le pratiche religiose era arrivato fino alla manìa; forse in me si produceva piuttosto un fenomeno di reazione. Io non fui, non sono e credo che non sarò mai massone ma chi sa, invece, quanti miei amici massoni serviron messa (alcuni l’hanno anche detta) ed ebbero schiaffi e carezze episcopali!

Firenze – San Frediano

Il 1° marzo 1864 entravo con mio fratello Luigi nell’Istituto Svizzero dei Padri di Famiglia, che non era già in Isvizzera, ma in Firenze, in un angolo molto popolare del quartiere di San Frediano, e precisamente nel palazzo che era stato dell’ arcivescovo Minucci, grande allevatore di gatti.

Questo Istituto era stato fondato 32 anni prima, e cioè fin dal 1832, da padri di famiglia protestanti, la maggior parte svizzeri, per poter dare ai loro figli un insegnamento elementare e medio nella città ove si erano stabiliti, prima di mandarli a compiere la loro educazione in patria. Nell’ Istituto di via d’Ardiglione, che frequentai per sei anni, ricevetti un insegnamento incompiuto, un’ inverniciatura molto superficiale, saltuaria e ristretta, ma m’impratichii nel francese e nel tedesco; feci molta ginnastica e mi trovai in mezzo a giovanetti e giovanotti d’ogni nazionalità e religione: svizzeri la maggior parte, ma anche francesi, inglesi, americani, ungheresi (ricordo un figlio del patriota magiaro Francesco Pultzky), egiziani, moldovalacchi, e fra loro luterani, calvinisti, valdesi, ebrei (la cui amicizia mi ha preservato dall’antisemitismo) e anche…. cattolici. Vi si parlavano tutte le lingue…. anche l’italiana; ma la lingua ufficiale dell’ Istituto era un gergo d’ordine composito, come sugli Scali di Levante.

Sei anni di questo consorzio giovarono poco alla mia cultura, molto al mio sviluppo fisico e a svincolare il mio spirito da pregiudizi; m’ insegnarono a bastare a me stesso, ad esser fedele nell’amicizia, a sapermi far rispettare, a combattere la battaglia della vita con coraggio e lealtà verso i concorrenti. Come mi si affollano nella memoria i ricordi dell’ Istituto Svizzero! Rivedo le figure d’una cinquantina di condiscepoli che presto si sparsero ai quattro venti.

Di alcuni non ho saputo più nulla; di altri ho seguito le vicende, e oramai, dopo circa quarant’ anni, molti son morti; so di alcune fini miserevoli (un ladro di pennini è ora in prigione), ma per la maggior parte hanno vissuto e vivono bene: uno di essi, svizzero con cuore d’italiano, a me carissimo e che vedo spesso, è ora ministro della sua nazione in Roma.

Ma specialmente è in me vivo il ricordo del direttore. Federico Borei, da Neûchatel, vissuto a lungo in Italia e così fervido amico del nostro Paese da ispirarmi sensi di patriottismo e principi democratici; la « cara e buona immagine paterna » spesso mi apparisce in sogno e io piango di tenerezza, credendo di riabbracciarla, dopo tanto tempo!…

Firenze 10 luglio 1910.

( Piero Barbera, Memorie giovanili autobiografiche di letterati, artisti, scienziati, uomini politici, patrioti e pubblicisti, Vol. IV – 1911 )


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