Dopo il primo week-end di proiezioni, arrivano i primi dati sulla trentunesima edizione della kermesse torinese. L’introduzione di biglietterie automatizzate, che si affiancano al sistema tradizionale, ha permesso all’organizzazione di Torino 31, di tenere sotto controllo il flusso di spettatori, il 30% in più rispetto all’anno passato. Per quanto riguarda i guadagni si è passati dai 127.000 euro dell’anno scorso ai 165.000 di quest’anno. Niente male. Questi i numeri. Passiamo però a quello che ci interessa realmente del festival: i film. Oggi ne analizziamo tre, tutti fuori concorso.
THE GRAND SEDUCTION
Tickle Cove, piccolo porto in difficoltà, ha un’unica speranza per uscire dalla crisi: una fabbrica di materie plastiche è disposta ad aprire una sede in zona a patto che sia garantita la presenza di un medico. Gli abitanti, capitanati da Murray French, tenteranno di convincere l’unico medico che sono riusciti a trovare a rimanere. The Grand Seduction, film canadese del 2013, è una commedia dai toni tipicamente inglesi. Soprattutto grazie all’impeccabile interpretazione di Brendan Gleeson (In Bruges) il film scorre piacevolmente senza troppi scossoni, riuscendo a regalare qualche risata qui e là, senza fare ricorso a sconcezze varie. The Grand Seduction non è un capolavoro, d’altronde non è neanche in concorso, e forse trova nel prefinale, dallo sviluppo troppo frettoloso, la sua debolezza più grande. Se ciò di cui necessitate, è una dose di sane risate, vi consiglio quest’ottimo palliativo.
CANIBAL
Nessuno può immaginare che Carlos, taciturno e schivo sarto di Granada, sia in realtà un cannibale spietato. Quando alla sua porta busserà Nina, sorella gemella di una delle sue vittime, in lui sorgerà un sentimento inatteso, l’amore. I primi dieci minuti, permeati di silenzio, nei quali vediamo il protagonista braccare e fare a pezzi la sua preda, sembrano il preludio a un ottimo thriller. In realtà Canìbal è qualcosa di più, e infondo qualcosa di diverso. Grazie all’utilizzo di vari registri narrativi il film scorre senza far pesare i suoi 116’. I silenzi, anche loro, infondo protagonisti in questa pellicola iberica, riescono a comunicare molto più dei pochi dialoghi scarni. In Canìbal, l’efferatezza di Carlos si alterna spesso alla sua dolcezza nascosta. Le sue pulsioni pian piano lasciano spazio all’amore. Amore che riesce a vincere sulla pulsione, ma le conseguenze nefaste verranno a galla solo alla fine di quest’avvincente pellicola spagnola. Canìbal, che ha nell’interpretazione del suo protagonista, Antonio de la Torre, un altro punto di forza, trova forse nella fotografia, a volte incapace di nascondere l’artificiosità tipica del digitale, il suo punto debole.
PRINCE AVALANCHE
In un paesaggio surreale, distrutto da un incendio, Alvin e Lance, assunti per ridipingere il manto stradale, lavorano fianco a fianco, nel tentativo di sopportarsi. Remake americano dell’islandese Either Way, vincitore del TFF nel 2011, Prince Avalanche, film grottesco dai risvolti esilaranti, viene presentato proprio qui a Torino fuori concorso. Il nulla, rappresentato dal paesaggio circostante, qui diventa protagonista nel tentativo, vano, di raccontare il vuoto con poco. Il problema di Prince Avalanche sta nel non sfruttare la malinconia, che sapientemente crea, lasciando i personaggi allo sbando, alla ricerca di un obiettivo che li faccia agire sensatamente. Non è per forza necessaria una trama complessa per creare un buon film, ma spesso non basta prendere una situazione, a volte potenzialmente esplosiva, buttarla in pasto agli spettatori e sperare che qualcosa accada. L’ironia, che va a sostituire la comicità figlia degli ultimi obbrobri nati dalle esperienze mainstream di Gordon Green, si rivela fumo gettato negli occhi dello spettatore, a mascherare il nulla che è il punto di forza e la rovina di questo film.
Mattia Gariglio
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