Pillole di letteratura araba sull’avarizia

Creato il 31 maggio 2013 da Amina De Biasio @aminavagante

Vi scrivo qui sotto due perle di al-Giahiz (che significa quello con gli occhi fuori dalle orbite e ve ne lascio pure un’immagine), importante autore arabo vissuto nella prima metà del IX secolo tra Baghdad e Bassora.
Divertitevi!

ULTIME PAROLE DELL’AVARO MORENTE AL FIGLIO
Ho conosciuto a fondo sovrani e poveretti, sono stato al servizio di Califfi e di mendicanti, mi sono mescolato agli asceti e ai ladroni. Ho frequentato gli oratorii e ho bazzicato le carceri. Le mammelle della sorte, quelle buone e quelle cattive, le ho succhiate tutte, ed ho incontrato epoche piene di meraviglie! Se non fossi passato per tutte le porte, se non avessi volato con tutti i venti, esperto di fortune e di malanni, come avrei potuto accumulare quel che adesso ti lascio?
Io non lodo me stesso per aver ammassato ricchezze, però mi lodo di averle conservate, resistendo alla tentazione di fabbricare, alle tentazioni delle donne, alle tentazioni degli adulatori, ed alle lusinghe dei finanzieri, che sono il guaio peggiore!

UN AVARO SENTIMENTALE
Un tale aveva raggiunto nella tirchieria il culmine, diventando il caposcuola degli avari. Quando veniva nelle sue mani una moneta d’argento, ci discorreva, le parlava in segreto manifestandole un affetto sviscerato, le rimproverava di aver tardato tanto ad arrivare, e fra le altre cose diceva: “Quanti paesi hai percorso, quante borse hai abbandonato, quanti uomini oscuri hai portato in alto e quanti potenti hai abbassato! Adesso, in casa mia, non soffrirai la fame e non sari nudo *. Poi, gettata la moneta in un sacchetto, disse: “In nome di Dio, questa è la tua casa! Abita qui al sicuro da ogni avvilimento e mortificazione: da qui non ti smuoverà nessuno!”. E infatti le monete che entravano in quella borsa non uscivano mai più.

* Corano, XII, 116, parole di Dio ad Abramo quando lo introdusse nel Paradiso Terrestre.

Entrambi i testi sono tratti da “Il libro degli avari” di al-Giahiz.
Trad. Gabrieli-Vacca in “Le più belle pagine della letteratura araba“, Milano 1957

(non si capisce neanche che sto studiando per un esame di letteratura araba)



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