Ma partiamo dal film, la cui capacità di tradurre la dimensione delle opere di Pina Bausch è oggettivamente grandiosa.
Partono i titoli di testa e gli occhiali 3D sono già a cavalcioni di quelli da vista. E via! Sostiamo pochi secondi su una panchina di un giardinetto di Wuppertal e… sbong …una botta nel petto! Siamo sul palcoscenico! Non davanti, non dietro le quinte, nessuna divisione, nessuna quarta parete: siamo lì, al centro del palcoscenico, in mezzo ai danzatori di Pina. Vediamo i graffi nel linoleum, allungando la mano potremmo toccare la pelle, i corpi delle magnifiche creature del Tanztheatre Wuppertal ensemble, sfiorarne i capelli, accarezzarne il volto, baciarli. É una macchina incredibile quella che si mette in moto, già dalle prime inquadrature del film, che segue le tracce di quella “macchina emozionale” che è il meccanismo messo in atto in ogni stuck dalla coreografa tedesca: oltre la struttura teatrale, oltre la parola, nel senso di Gilles Deleuze, un meccanismo che lavora, funziona, emette ed emana fenomeni percepibili veramente solo sul corpo, col corpo. Pina, il film, si addentra con la cinepresa in questo meccanismo/miracolo. E riesce a renderlo. Al centro del palcoscenico si staglia la bellissima figura di Nelken, una donna vestita solo dell’ingombro di una fisarmonica, che, dopo pochi istanti, ci catapulta tra i respiri ansimanti di Le Sacre du printemps.
Il film è solo movimento e restituisce l’alternarsi sapientemente calcolato di condensaizone e di vuoto degli stǘck di Pina Bausch, che sondano e affondano negli interstizi in cui può insinuarsi la fantasia dello spettatore per poi riempirli di ricordi, sogni e desideri; il film è solo danza, inglobando la dimensione dello spazio di Pina. L‘uso del 3D, così operato da Wim Wenders, è volto all’affondo, un’ immersione nell’idea di spazialità e di movimento dei corpi nello spazio che crea profondità. Riuscendo a restituire l’atmosfera delle opere della coreografa, la qualità della sua ricerca e del suo lavoro. Le parole sono fuori campo, affidate alle voci dei suoi danzatori che parlano di lei, di sé stessi con lei e nei suoi spettacoli, in un autodafé muto in primo piano, fatto solo di sguardi ed espressioni, ancora incredule per la scomparsa della loro coreografa.
Insieme a loro attraversiamo strade di Wuppertal, saliamo su metro e camminiamo a piedi nudi su sopraelevate e in sottopassaggi, scaliamo costoni rocciosi, cave, attraversiamo boschi, fabbriche e vagoni della magnetovia. Tra i loro assoli e passi a due, dedicati alla loro Pina. Il nodo alla gola è inevitabile. Non serve sapere chi è Pina Bausch, né intendersi di danza, né amarne il genio e le opere. Qui arriva, evidente, la dolcezza e la malinconia, la tristezza e la forza gioiosa di vite rimaste improvvisamente sole, che stanno costruendo come continuare, perché si deve e perché si può. Così ha insegnato Pina, e lo faranno. Ma la fatica e la desolazione, tra gioia, felicità e bellezza del ricordo, spesso, traspare. Come giusto che sia.
E tra un assolo intriso di gioia e leggerezza, uno di lotta, uno di ritrovamento, tra un gioco per farla ridere e un passo a due di grande seduzione, le sedie di Café Muller e il rumore del loro cadere continuamente pervade anche l’udito. La storia di Café Muller è raccontata da Dominique Mercy e Malou Airaudo, davanti ad un plastico che si anima e sdoppia tra presente e passato, svelando la storia e I retroscena di un’eccezione: solo 6 danzatori, tra cui la stessa Pina Bausch, e per soli 40 minuti. Wim Wenders regala anche immagini di repertorio come una delle riprese in cui Pina Bausch è in scena, emblematica, carismatica, bellissima. Si staglia sul fondo, la pelle sfiorata da una sottoveste chiara. Il passo breve e incerto, gli occhi chiusi, quelle mani, quelle braccia, che muovono il più grande e suggestivo lamento d’amore…
Vedere uno spettacolo di Pina Bausch è venir trascinati in un’esperienza estrema: è vivere, soffrire, sperare, aver paura, amare. Un’esperienza capace di modificarti sostanzialmente e veramente. Questo arriva dal film, instillando quasi sicuramente la voglia e la necessità di andare a vedere uno spettacolo del Tanztheatre Wuppertal dal vivo. A congedare il pubblico dalla sala è Pina Bausch stessa. L’ultima inquadratura è per lei. Una brevissima frase coregrafica, in un bianco e nero che esalta la magia delle sue mani, braccia e del suo modo di inclinare la testa, e un saluto con la mano, come quelli dal finestrino o uscendo dalla sala prove, a dire “ciao, ci vediamo domani”. Ciao. E grazie! È la reazione del pubblico.
La straordinaria capacità di Pina Bausch di racchiudere in un gesto, in un’immagine l’intero senso di una personalità e della vita è qualcosa che va visto, anche attraverso il film. È un’estasi per lo sguardo e il pensiero, e non solo degli appassionati di danza. Che vadano tutti a vedere il film: adulti, bambini, giovani, anziani, chi non si occupa di danza, non la fa e non l’ha mai vista. Senza troppe incertezze basta farsi guidare dall’evocazione di quei movimenti, dalla comunicazione di quei corpi, dalla commozione di quei volti. Il film è davvero un grande omaggio alle opere di Pina Bausch e ne restituisce la dimensione e portata. Alla fine, è sicuro, si vorrà andare a vedere uno spettacolo dal vivo e si desidererà che non finisca mai.
Pina, il film, è stupefacente. E va visto.
Rimane solo un dubbio, forse solo personale, che si tenterà di sciogliere andando a rivedere il film. Riesce a restituire davvero chi è e cosa rappresenta Pina Bausch, le sue scelte, la sua posizione? Non vi è narrazione della biografia, né personale nè artistica della coreografa tedesca. Forse una pecca, forse, invece, la volontà di generare curiosità, inducendo chi non conosce o non ha visto, a farlo. Ciò che sembra mancare di più è la restituzione del senso della rivoluzione di Pina Bausch. Perché Pina Bausch è una rivoluzione! Chi scrive appartiene alla generazione che ha goduto della rivoluzione già avvenuta, ma ha lavorato con persone che l’hanno vissuta in diretta. Ha rappresentato un punto determinante per la rottura stilistica e la creazione di un linguaggio, e una tappa precisa e significante del superamento dei generi verso cui si sono mobilitati gli anni ’60 e ’70. L’assolo sulle punte, riproposto anche nel film, per esempio, dove la danzatrice infila nelle scarpette due fette di vitello fresco sanguinante, era un’azione dirompente con un senso e un significato preciso. Che nel film si teme non arrivi. Le persone uscivano da teatro sconvolte. Come uscivano sconvolte dalla profondità degli interrogativi su cui sono costruiti gli stuck di Pina Bausch. Che si interroga e interroga sulle più profonde questioni esistenziali. Ogni stuck pone dinanzi a cose assolutamente inconsuete che, ulterioremente, si sdoppiano e coabitano nell’assoluta normalità e nel più grande prodigio cui si possa assitere. Ogni istante è quello spazio di tempo che può improvvisamente ribaltarsi nel suo contrario: il più doloroso tormento si tramuta in allegria, la più travolgente malinconia si veste di inusitata serenità. Pina Bausch è un’osservatrice delle persone, dell’umanità, delle relazioni tra le persone, dell’infanzia, dell’amore, delle città, è un antidoto al cinismo del mondo. Gli spettacoli di Pina Bausch sono il gioco della vita, a un tempo comico e tragico, con le diverse sfaccettature e sfumature della nostra esperienza; fondono, come nelle fiabe, l’orrore e la bellezza con lievità, instaurando la fiducia nell’esistenza come un terreno praticabile. Arriva tutto questo? A chi scrive un po’ è mancato. Ma forse solo perché il desiderio che Pina Bausch, il suo genio e il suo senso siano conosciuti, compresi e amati profondamente da tutti, è un desiderio irrefrenabile. E forse solo andando a teatro dal vivo si può fare.
Federicapaola Capecchi
Gli stuck scelti per il Film
Café Muller
regia e coreografia: Pina Bausch
Musica di Henry Purcell
Scene di Rolf Borzik
maggio 1978
Interpreti (prima versione): Malou Airaudo, Pina Bausch, Rolf Borzik, Dominique Mercy, Jan Minarik, Meryl Tankard
Café Muller è la storia di un’eccezione: solo 6 danzatori in scena, tra cui la stessa Pina Bausch, e per soli 40 minuti; uno stuck concepito velocemente, per esigenze di cartellone, a chiusura di un’annata particolarmente intensa già reduce di ben tre nuove creazioni impegnative (Komm tanz mit mir; Renate wandert aus; Er nimmt sie an der Hand). Una creazione che diventerà uno dei cavalli di battaglia del Tanzwuppertal. Uno stanzone grigio con pannelli di vetro trasparenti e delle porte di lato. La scena scarna si riempie di sedie e tavolini neri; Rolf Borzik sposta senza sosta sedie e tavoli che sovraffollano lo spazio scenico, ritagliando di volta in volta spazi liberi per le avanzate cieche dei danzatori. Sì, perché tutto Café Muller viene danzato ad occhi chiusi. Su questa scena e azione scarna incombe l’ansia di una rodente solitudine. Pina Bausch, emblematica, carismatica, bellissima, si staglia sul fondo. Le arie di Purcell accompagnano scatti o respiri, movimenti morbidi e circolari, di Malou Airaudo. Café Muller è un lamento d’amore. É metafora dell’impossibilità di un contatto profondo; racconta la mortalità dell’amore; è dolce e inquieto, essenziale ed emotivamente sferzante, puro e omogeneo. Non vi sono psicologismi o simbologie strane. Come sempre nelle creazioni di Pina c’è la vita. E il significato è affidato al movimento, ai gesti, alla danza. Federico Fellini disse: “con café Muller Pina Bausch ha creato il suo Otto e mezzo”.
Le Sacre du printemps
coreografia: Pina Bausch
interpretazione: Tanztheater Wuppertal
produzione: ZDF
Germania 1978
Nel 1975 Pina Bausch monta la sua versione della “Sagra della primavera” di Igor Stravinskij, banco di prova per alcuni tra i massimi coreografi del Novecento, tra i quali Vaslav Nijinsky (autore della prima versione del 1913), Maurice Béjart e Martha Graham. La versione Bausch, mai uscita dal repertorio del Tanztheater Wuppertal, si differenzia da tutte per la sua mancanza di riferimenti a figurativismi folclorici e a contesti storicamente definiti. Trenta ballerini, quindici uomini e quindici donne, gli uni a torso nudo, le altre in vesti leggere e trasparenti, danzano sulla scena coperta di argilla (ideata da Rolf Borzik) un rito asciutto e violento per la designazione della fanciulla (l’Eletta) destinata al sacrificio propiziatorio. Protagonista assoluta è la danza scandita in assoli lancinanti e bruschi giochi di massa. Sempre più drammatico nel suo crescendo devastante, coi corpi via via più selvaggi, affannati e imbrattati, questo “Sacre” compone un vivido e intenso cerimoniale primitivo che conduce alla morte dell’Eletta. Capolavoro coreografico irrinunciabile per la comprensione dell’estetica di Pina Bausch, contiene le radici più antiche e profonde del suo linguaggio d’autrice.
Kontakthof
regia e coreografia: Pina Bausch
musiche:Charlie Chaplin, Anton Karas, Juan Llossas, Nino Rota, Jean Sibelius e altri.
Scene e costumi: Rolf Borzik
interpreti: Wuppertal ensemble, Damen und Herren ab ’65, Teenagern ab 14
prima versione 1978
Vollmond
regia e coreografia Pina Bausch
scene Peter Pabst
costumi Marion Cito
collaborazione musicale Matthias Burkert, Andreas Eisenschneider
assistenti alla regia Robert Sturm, Daphnis Kokkinos, Marion Cito
interpreti Pablo Aran Gimeno, Rainer Behr, Silvia Farias Heredia, Ditta Miranda Jasjfi, Dominique Mercy, Nazareth Panadero, Helena Pikon, Jorge Puerta Armenta, Azusa Seyama, Julie Anne Stanzak, Michael Strecker, Fernando Suels Mendoza
musiche Amon Tobin, Alexander Balanescu con Balanescu Quartett, Cat Power, Carl Craig, Jun Miyake, Leftfield, Magyar Posse, Nenad Jelić, René Aubry, Tom Waits
Un evento a cura di Andres Neumann International
Produttore Andres Neumann
Sullo sfondo di un affascinante paesaggio dai tratti lunari, pioggia e pozze di acqua. Qui si consuma una lotta spietata tra i danzatori. La vitalità e il piacere giocano allora a rimpiattino con la repressione sotto agli occhi degli spettatori. Che siano due uomini sdraiati al suolo, che, con la bocca piena, si innaffiano a vicenda, oppure una donna in abito da sera legata a un bastone e trascinata nei flutti, o un’altra, colta mentre fa scivolare un bicchiere sotto al vestito per poi portarselo alle labbra, l’acqua trionfa, con la sua potenza primigenia. Il linguaggio unico della coreografa tedesca dona vita a scene inebrianti e frenetiche, gags tra l’ironico e il tragicomico, assoli struggenti. Mentre la danza, sensuale e travolgente, si conferma come un modo per mettere a nudo l’animo umano: si prende gioco delle debolezze in amore, racconta la coppia attraverso le piccole violenze quotidiane, gli abbracci espressi o rifiutati, gli inseguimenti, le fughe…
PINA a film for Pina Bausch by Wim Wenders dove a Milano:
ELISEO MULTISALA, Via Torino, 64, Tel: 0272.00.82.19
UCI CINEMAS BICOCCA, Viale Sarca, 336, Tel: 892.960
APOLLO, Corso Vittorio Emanuele