Italia contemporanea. Un commando addestrato e di efficienza micidiale esegue una serie di attentati nei quali uccide politici corrotti, malversatori, collusi con la criminalità organizzata. Il quintetto non solo non lascia proprie tracce, ma offre indizi per falsi scenari, nel tentativo di innescare scontri fra i gruppi malavitosi. Le loro vittime hanno sempre fuggito la giustizia: partecipano e si sostengono a una trama di potere illegale e illegittimo, che è ormai saldamente installata a tutti i livelli delle istituzioni. Non solo si fanno beffe della legge, ma eliminano senza pietà chi quella legge intende applicare.
E tutto gira come una macchina perfettamente registrata, finché, nel corso di un ennesimo agguato, il gruppo uccide due persone estranee e in questo senso innocenti, e uno di loro rimane gravemente ferito. L’aver ucciso due innocenti innesca una profonda analisi del senso delle loro azioni, ovvero del senso di quella che il quintetto chiama giustizia. Da qui, alternando flashback, che raccontano la nascita e le azioni del gruppo, e sviluppo della trama, la storia procede con passo deciso, verrebbe da dire impietoso, verso lo scioglimento, che sarebbe un peccato rivelare (già il risvolto di copertina rivela troppo: evitatene la lettura prima del romanzo), e che, nel destino dei vari personaggi, non offre alcuna soluzione alle questioni poste, ma lascia al lettore il testimone della riflessione.
INTERMEZZO SUI NOMI
Prima di tutto, la scelta di un nome di battaglia segnala la volontà di un’identità nuova e il rifiuto dell’identità ufficiale indica il rifiuto del contesto che determina e fissa quell’identità ufficiale.
In secondo luogo, la scelta di quel tipo di nome di battaglia, forgiato da uno schema comune, indica l’appartenenza ad un gruppo. Utilizzare i numeri a partire da uno ha almeno due significati: il primo è che sono individui qualunque (e difatti di loro conosciamo solo dettagli funzionali alla storia, nonostante Otto Gabos dichiari di aver compilato biografie per ciascuno di essi [2] ); il secondo è la speranza che, come nella successione dei numeri interi, altri cittadini si uniscano al gruppo, o intraprendano il suo stesso percorso. Aleggia anche il sospetto di un rimando ai nomi di battaglia dei Khmer Rossi della Cambogia, che potrebbe essere l’avvertimento sul possibile risultato dell’applicazione della giustizia secondo il quintetto.
QUALE GIUSTIZIA?
C’è tanta pioggia nelle pagine di “La Giustizia Siamo Noi“: pioggia autunnale, fitta e incessante, che certo pulisce l’aria, ma poi ristagna sul terreno, in pozzanghere in mezzo al fango, senza defluire, senza portar via lo sporco, che anzi impregna la terra. E come questa pioggia che non riesce a pulire, a purificare, agisce quel gruppo di individui. Eliminano singoli nodi di una rete, ma la rete si ricostruisce senza particolari difficoltà. La loro azione non ha fini terroristici, né cercano proseliti: in un grottesco ossimoro, utilizzano la violenza illegale per sanare illegalità di cui le istituzioni sono complici. Lo scenario politico in cui agiscono è quello di asservimento e complicità crescente fra malavita e autorità, che non lascia loro speranza. Per questo, si sono investiti dell’autorità di emettere e applicare sentenze capitali. Di realizzare la giustizia. Notare l’articolo determinativo: “la” giustizia, non “una” giustizia, ad indicare un assoluto, come se la giustizia fosse un’entità monodimensionale, che si misura semplicemente (tot colpevoli ammazzati) e non complessa.
“No! Se i mezzi ti riducono come loro, no! Se diventi come il nemico che stai combattendo, tutto questo non ha più senso!“.
Nell’ultima discussione fra il giudice e Numero Uno vengono portati in superficie tanti nodi della questione. Numero Uno afferma:
“La giustizia siamo noi. [...] Noi siamo stati gli unici a fare sul serio“.
“E cosa avete ottenuto?“
“Niente, ma ci siamo tolte grosse soddisfazioni“
“E per togliervi queste soddisfazioni avete fatto un passo in più… molti passi in più verso la barbarie“
“La barbarie era già in atto. Impossibile fare peggio di quanto già sia questa realtà“.
La linea che divide giudice e Numero Uno è chiara: Numero Uno ha perso la fiducia nella capacità del sistema (sociale e politico) di riformarsi secondo principi di giustizia. Nella sua visione, la società non è semplicemente incapace di difendersi dall’imbarbarimento, ma ha scelto la barbarie come nuovo paradigma. Ai princìpi di giustizia ed eguaglianza si è sostituito il principio di potenza e affermazione individuale; a princìpi sociali, comunitari, si sono sostituiti princìpi individuali. Il principio ispiratore della politica di Margaret Thatcher diventa profezia che si realizza: “La società non esiste“. E allora, per Numero Uno, la giustizia come la intende il giudice, come la intende la Costituzione, non esiste più, perché non esiste più la sua fondazione: la società. E la corruzione capillare e il cinismo dilagante segnalano proprio la morte di quei princìpi. Giustizia è morta e resta solo la vendetta. Che tuttavia, come sottolinea il giudice, ha solo capacità distruttive. La vendetta non riesce a portare il colore nell’Italia che Gabos rappresenta schiacciata nel grigiore plumbeo, appiattita cromaticamente e moralmente. Sulla vendetta non si costruisce una nuova società: i componenti del quintetto lo sanno, questa speranza se la sono lasciata alle spalle nel momento i cui hanno scelto l’illegalità; e per questo escono di scena, ognuno a suo modo, ma senza tradire se stessi.
Con “La Giustizia siamo Noi“, Pino Cacucci e Otto Gabos affrontano alcune linee di tensione fondamentali nella struttura sociale e politica. Che cosa significa “Giustizia”? Quale è la legittimità di un potere che non la amministra secondo i princìpi costituzionali e quelli morali che li sottendono? Il caso proposto è estremo, ma solo nel senso che, nella sintesi richiesta da una narrazione, tutti i nodi critici sono messi in evidenza e forzati per ottenere il maggior impatto (morale) possibile. Non una battuta né una scena è di troppo e il profilo dei protagonisti è tratteggiato efficacemente tramite i ricordi, che ci svelano le domande a cui hanno risposto per trovarsi in quel casolare sotto la pioggia.
Le stesse domande che noi stessi siamo tenuti a porci, con in più quella fondamentale:
“Dove siamo noi, mentre accade tutto questo?”
Abbiamo parlato di:
La Giustizia siamo Noi
Pino Cacucci, Otto Gabos
Rizzoli, 2010
160 pagine, brossurato, bianco e nero – 18,50€
ISBN: 9788817044400
Note:
- In questo ricordano il gruppo dei Quattro di una famosa serie di gialli di Edgar Wallace: i personaggi di Wallace formavano un gruppo di giustizieri, che agiva al limite della legalità, punendo con la morte criminali pericolosi sia dal punto di vista del normale ordine pubblico (“I Quattro Giusti“) sia politico e sociale (in “Il Tribunale di Giustizia” lottano contro un’organizzazione sovversiva comunista. [↩]
- Cfr. “Conclusioni”, pag 157 [↩]