Pinocchio e la morte

Creato il 11 gennaio 2015 da Salone Del Lutto @salonedellutto

Finalmente ho letto Pinocchio – Anatomia di un burattino di Stefano Bessoni. Conoscendone i lavori precedenti, da Alice sotto terra ai Canti della forca, immaginavo a grandi linee quello che mi aspettava: una rilettura libera e profonda del testo originale, tesa a metterne in evidenza gli aspetti macabri e a fornire interessanti chiavi di lettura rispetto alla psicologia dei personaggi.

«In questo libro non ho voluto riproporre fedelmente il testo e la storia di Collodi, che comunque tutti conoscono alla perfezione e di cui esistono innumerevoli edizioni, ma ho preferito soffermarmi sui personaggi principali e fornirli di tutto ciò che immaginavo scritto oltre le righe, approfondendo i loro caratteri, le loro manie e ossessioni, mantenendo la storia semplicemente come esile filo conduttore. Ho scelto di contaminare la storia con influenze lombrosiane e shelleyane. Il mio Pinocchio è una sorta di creatura strampalata che porta su di sé le stigmate anatomiche del “delinquente nato” di Cesare Lombroso e la perturbante diversità del Frankestein di Mary Shelley». Ecco come Stefano motiva le sue scelte interpretative. E il risultato è sorprendente: una magnifica fiaba nera, proprio per questo molto più aderente della ri-lettura completamente sovvertita data nel 1940 da Walt Disney. Mentre là l’operazione principale consisteva nel nascondere, nel collocare tanti elementi come il rapporto con la morte nella sfera del tabù, Stefano tutti questi elementi li riporta alla luce, li arricchisce e li accentua.

A cominciare da Geppetto, che altri non è che il punto d’incontro fra lo Sgatti, becchino di fine Ottocento, e Bartolomeo Zacchìa, lo strano direttore della piccola scuola di medicina e scienze naturali dove si insegnano materie ufficiali assieme a discipline inusuali, come la tanatologia, la zoologia apocrifa e la scultura tassidermica, che lo stesso Bessoni aveva raccontato in Frammenti di scienze inesatte. Geppetto fa il falegname solo per arrotondare lo stipendio, ma il suo vero lavoro è un altro: lui fa il becchino preparatore all’Arcispedale di Santa Maria Nuova a Firenze, dove un’esperienza quasi trentennale sul campo gli ha consentito di apprendere tutte le tecniche di preparazione di scheletri e preparati anatomici. Tornato al proprio paese natale, morte e falegnameria s’incontrano nel suo nuovo lavoro, la costruzione di casse da morto e di croci intagliate per il cimitero. Ma al contempo Geppetto legge e rilegge, si forma su testi esoterici e gotici, e coltiva un sogno possibile: quello di costruirsi un burattino meraviglioso, che sappia fare di tutto, che abbia una vita propria. Geppetto è un demiurgo, un mago, un uomo ossessionato dagli studi anatomici. E quando gli viene consegnata una radice di mandragola capisce che il momento è giunto, taglia, intaglia e incide sul cranio del suo piccolo Frankestein la parola emeth, “verità” in ebraico, che può donare e togliere la vita.

Così nasce Pinocchio. Un burattino con tutti gli organi interni al proprio posto e dal cranio tozzo e primitivo, che Cesare Lombroso, a un’attenta analisi, avrebbe subito identificato come esemplare di un delinquente nato. Non ci si può certo aspettare che fili tutto liscio. E infatti Pinocchio è fuori controllo, non obbedisce a Geppetto, e inizia un vagabondaggio che più volte lo porta a conoscere o anche solo a intuire la morte. Pensate forse che il Gatto e la Volpe non c’entrino nulla, con la morte? Be’, vi sbagliate. Provate ad andare a scoprire come trascorrono le loro nottatacce e capirete che non sono dei semplici truffatori. E chi credete che sia la bambina dai capelli turchini, se non una morticina, uno spettro che in vita era stato una fata o una strega?

Ecco, il Pinocchio di Bessoni funziona più o meno così. È la lettura di un bambino che ha conosciuto bene la fiaba – così bene da ricamarci su, da abbozzare interpretazioni, da lavorarci di fantasia – e, contemporaneamente, quella di un adulto che quella fiaba l’ha ripresa in mano, se l’è studiata e ci ha colto sfumature – storiche, letterarie, culturali – che non aveva visto, da piccolo. E poi, ovviamente, è un libro ricco di illustrazioni bellissime, dove le matite di Stefano Bessoni le si riconosce lontano un miglio e danno vita, come fossero l’argilla di un demiurgo, a un mondo bizzarro, a personaggi paurosi e grotteschi: giganti dalla barba nera e untuosa, bambine dalla pelle livida e dalle occhiaie profonde, burattini scheletriti e molto altro ancora. Così, come per molti altri suoi lavori, siamo in presenza di un qualcosa che può essere letto da un pubblico ampio per età – come d’altra parte è anche l’opera a cui si ispira. Bambini, certo, ma soprattutto adulti o, meglio ancora, adulti accompagnati dai bambini.

Siccome non sono convinta di una cosa, ossia che tutti conoscano Pinocchio alla perfezione, il mio consiglio è questo: leggeteli entrambi. L’originale di Collodi e il lavoro di Bessoni. Meglio se accompagnati. L’occhio di un bambino intuisce molte cose che a un adulto sfuggono. E quello di un adulto può avere, forse, molti riferimenti che a un bambino mancano.

di Silvia Ceriani

Stefano Bessoni
Pinocchio – Anatomia di un burattino
Logos, 2014

Come già in Alice Sotto Terra, Stefano Bessoni riprende uno dei personaggi più amati della sua infanzia per personalizzarne le gesta con uno stile narrativo agile e fiorito e le sue riconoscibilissime immagini macabre e divertenti. Il suo sguardo è quello di un naturalista dall’animo vittoriano, diviso tra la passione per gli insetti, l’anatomia umana, gli scheletri, gli spettri, la fotografia. Lungi dal seguire fedelmente le arcinote vicende narrate da Collodi, l’autore mette in scena il burattino e lo stralunato circo di personaggi che gli ruota attorno dotandoli di tutto ciò che la fantasia lo ha portato a immaginare al di là del testo scritto. Il Pinocchio di Bessoni si nutre delle suggestioni del famoso sceneggiato di Luigi Comencini e delle illustrazioni di Enrico Mazzanti e Carlo Chiostri e le contamina con influenze shelleyane e lombrosiane. Nato probabilmente da una grossa radice di mandragola cresciuta ai piedi di una forca, Pinocchio è una creatura bizzarra che reca le stigmate anatomiche del “delinquente nato” di Cesare Lombroso e la perturbante diversità del Frankenstein di Mary Shelley. Si unisce così a quella vasta schiera di esseri creati sovvertendo le regole naturali, infelici per vocazione e freak a ogni costo. Insieme a lui gli altri personaggi delineano un’irresistibile galleria di caricature macabre: Geppetto è ingobbito, sdentato e dal naso rubizzo; il grillo parlante color verde smeraldo ha un cappello a cilindro, occhi iper-sproporzionati e due sghangherate file di denti; Mangiafoco è una montagna di capelli, baffi e barba da cui spuntano due occhi malvagi e gli immancabili dentacci; la fata turchina è una macilenta fanciulla dalla chioma enorme, che nutre un affettuoso interesse per Pinocchio e in particolare per il suo naso lungo e turgido. Una reinterpretazione di un grande classico che, andando al di là dell’ambito della narrativa per bambini, rivendica il proprio status di opera letteraria gotica o romantica, nel solco di Hoffman e Poe.


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