E tra un mare di luoghi comuni si delinea la visione utopica dell’anarchia che il presunto padre vuole trasmettere alla figlia. Un coacervo di egualitarismo, libertà, solidarietà, partecipazione attiva, esproprio della proprietà privata e sovvertimento dell’ordine costituito è quello che ai suoi occhi rappresenta l’anarchia. Insomma, alla fase distruttiva che spesso accompagna le cronache delle azioni anarchiche, per l’autore deve seguire una fase di ricostruzione basata sull’annientamento del privilegio e della gerarchia. L’uomo ha per natura uno spirito egualitario e soltanto per le costrizioni culturali dello Stato (che appaiono fantomatiche, mai calate dall’autore in contesti reali), l’individuo si lascia andare ai rapporti di gerarchia. Questa debole tesi viene esplicata con una metafora risibile: la società autogestita può funzionare a mo’ di un barbecue tra amici, dove ognuno mette a disposizione dell’altro le proprie competenze senza pretendere privilegi per la sua conoscenza. Ora, mi piacerebbe molto fare scampagnate con lo scrittore e i suoi amici per godere dell’idillio che si instaura tra loro, ma quando io partecipo a qualche grigliata c’è sempre la classica litigata tra chi non fa nulla e tra chi recrimina perché si trova a dover fare le pulizie. Fornire come modello questo esempio o quello altrettanto pretestuoso della ricostruzione di una casa dove tutti sono contenti di mettere in campo le loro conoscenze in modo pacifico, denota una parziale e ottimistica visione ontologica dell’essere umano. Se siamo arrivati a questo capitalismo così selvaggio lo abbiamo fatto per il male connaturato nella nostra pelle. Il libro è diviso secondo una stanca tripartizione in POMERIGGIO, SERA e MATTINO. La seconda parte inizia ad acquistare spessore perché finalmente si comincia a citare qualcosa di concreto, come l’esperienza delle fabbriche spagnole nel ‘36. Tutto lascia presagire un approfondimento doveroso ma l’autore persegue con pervicacia la missione che si era programmato: fornire un sunto semplice (io direi semplicistico) dell’idealismo anarchico. Viene infatti fornita soltanto una mezza dozzina di aforismi dei grandi pensatori (peraltro mal collegati col contesto) e al lettore non è dato nessun input per approfondire altrove le tesi redatte. L’autore si avventura naturalmente anche in un discorso sulle religioni e sui loro falsi idoli, continuando a proporre tesi che un medio pensatore ha fatto sue da tempo: la religione è soltanto uno dei tre dogmi (assieme a Stato e Capitale) inculcatici da piccoli che perpetua questa piramide gerarchica nella quale viviamo. Il bisogno di spiritualità è però insopprimibile e nella società autogestita ognuno potrà venerare il Demiurgo che vuole. Più che a una razionalizzazione delle idee anarchiche si assiste quindi a un veloce tracciamento di linee guida per quando l’anarchia prenderà il Potere. Lo stesso autore si accorge di questo ossimoro e precisa che in realtà l’anarchia non predica un non-governo (dalla radice greca del termine), ma un’ALTRA forma di ordinamento basata su relazioni orizzontali. Anche se fu lo stesso Michail Bakunin a creare la distinzione tra anarchici Creatori e Distruttori, la sensazione di facile utopia continua a scorrere anche in questi frangenti. “L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare”, è con la celebre massima di Eduardo Galeano che il padre risponde all’unica vera domanda della figlia sul perché si debba allora inseguire l’utopia. Il finale del libro va incontro a una sfacciataggine palese: flebilmente l’autore, attraverso il suo personaggio, cerca di giustificare il suo lavoro di ferroviere alle dipendenze di quello Stato tanto avversato. Lui, quel lavoro lo fa per aiutare la collettività, sempre in prima linea nelle rivendicazioni sindacali. Il caso sarebbe diverso se facesse il banchiere e quindi si arricchisse sulle spalle della povera gente. A parte la demagogia di queste opinioni, ecco venir fuori la solita deriva partitica e settaria: non tutti possono professarsi anarchici, solo chi crede in determinati ideali e seppur non vi siano tessere, l’inclusione non può essere garantita anche a chi fa lavori capitalistici. Insomma, professa quello che vuoi ma bada a non dichiararti dei nostri, ché siamo migliori di te (mi riferisco alla supponenza con cui vengono liquidati gli anarco-capitalisti). Dopo un percorso che più lineare non si può, la figlia a cui è stata spiegata l’anarchia fa una chiusa tremenda e affrettata dicendo che le è venuta fame di libertà e provvederà a saziarla. «Allora, ti è piaciuto il libro di Gurrieri?». Faccio un sussulto, mi giro di scatto e vedo la ragazza con indosso la mia maglietta che stropicciandosi gli occhi mi ha posto la domanda. Diamine, occupato dalla lettura ho dimenticato di cercare il documento e non so ancora come si chiama!
Pippo Gurrieri: Si Può Insegnare l’Anarchia?
Creato il 26 ottobre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazinePossono interessarti anche questi articoli :
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