Lo scopo di questa nuova rubrica consiste nel fornire ai lettori una serie di nozioni imprescindibili per comprendere la dimensione storica del fenomeno religioso, indagata dal punto di vista scientifico e quindi aliena da qualsivoglia condizionamento fideistico, con l’augurio che i lettori comprendano una verità inconfutabile: ogni credo ha un valore essenzialmente soggettivo e giammai universalmente valido. Qualsiasi condizionamento della libertà religiosa altrui deve pertanto intendersi come una violazione di un diritto inalienabile.
Il politeismo è una categorizzazione storico-religiosa che si lega alle culture cosiddette “alte”, caratterizzate da insediamenti stanziali, conoscenza delle pratiche agricole ed alfabetizzazione diffusa, in grado di elaborare raffinate speculazioni teogoniche (relative cioè all'origine degli dei) e cosmogoniche (relative alle origini del mondo), sul modello dell'Enuma Elish babilonese o delle Genealogie di Esiodo. La credenza in una pluralità di personalità divine, in altri termini, non basta per contraddistinguere un credo politeistico: sarà infatti necessario che ogni singola divinità, a differenza di altri contesti religiosi quali l'animismo, non si identifichi mai con l'ambito cosmico che presiede. Un esempio servirà a rendere l'idea: Apollo è il dio greco del sole, ma trascende fisicamente il sole, essendo dotato di spiccata e specifica personalità. Gli dei del politeismo sono immortali ma non eterni, a differenza dei monoteismi non sono né increati, né eterni; spesso immaginati con fattezze antropomorfiche, essi possono nascere e persino fecondare donne mortali, dando talvolta vita ad eroi e semidei (i greci Eracle, Giasone, Enea ecc.) Il complesso delle divinità politeistiche risulta inserito all'interno di una struttura ordinata per funzione dinastica (tutti gli dei sono legati da rapporti parentali) e dipartimentale (ogni dio dispone di uno o più ambiti cosmici di riferimento), il pantheon (“tutti gli dei”). Chiaro che non si tratta di regole immutabili, quanto di consuetudini soggette a fattori geografici – una particolare località può venerare una divinità tutelare (in Grecia detta “poliade”, relativa alla città) piuttosto che un'altra – politici o culturali. Frequenti, specie in relazione al politeismo romano, i fenomeni di sincretismo – la mescolanza di dottrine religiose eterogenee – o di assimilazione; in quest'ultimo caso vengono accumunate personalità divine relative a contesti religiosi differenti: la fenicia Astarte viene ricondotta alla siriaca Atagartis, all'egizia Iside, alla greca Afrodite, alla romana Venere e così via. Sincretismi ed assimilazioni sono casistiche rese possibili dalla mancanza, rispetto ai monoteismi “storici” (Islam, cristianesimo ed ebraismo), di fondamentalismi, intolleranze o esclusivismi all'interno della mentalità religiosa politeistica. Un determinato credo può tuttavia essere osteggiato per motivazioni “politiche”, quando cioè esso mette a repentaglio l'ordine costituito. Esiste infatti un legame inscindibile fra politeismo e “stato”, che dipende dal particolare rapporto che ne caratterizza i fedeli, il cosiddetto “culto pubblico”. I culti politeistici hanno, de jure, lo scopo di onorare gli dei (attribuendogli la timé, la venerazione che gli spetta) quasi per scongiurarne l'intervento e le eventuali punizioni, ma de facto il loro fine ultimo è quello di inquadrare il popolo e scandire tempi e ritmi della vita sociale, definendone il calendario. Ne consegue che il rapporto divinità-fedele diviene essenzialmente ritualistico, ragion per cui, sovente, culti maggiormente partecipativi ed intimistici come i culti misterici ed orgiastici, ed in generale quelli di ascendenza orientale come Cibele ed Attis, furono accettati con entusiasmo e sincera devozione, specie per tutti coloro che non si accontentavano di vuoti sacrifici e banchetti rituali. Nella seconda metà del I sec. d.C. persino il nascente cristianesimo verrà considerato alla stregua dei spiritualmente appaganti culti orientali (il mitraismo, altro culto di matrice orientale, fu per decenni uno scomodo “concorrente” per i cristiani), salvo poi venire sistematicamente avversato per le sue intrinseche caratteristiche di esclusivismo – come tutti i monoteismi esso esclude la convivenza con altre fedi religiose –, capaci di mettere in discussione l'equilibrio sociale dell'Impero Romano. In effetti le motivazioni giuridiche delle persecuzioni contro i cristiani sono da ricercare in questioni squisitamente politiche: se un cittadino romano non sacrifica al princeps, non partecipa a processioni e a banchetti rituali, se crede che tutti gli uomini siano uguali e che questa vita è solo un “passaggio” per l'aldilà, allora è un “cattivo cittadino” che mette in pericolo lo status quo. Ci vorrà tutta l'abilità diplomatica di Paolo di Tarso e degli altri “Padri della Chiesa” per convincere gli imperatori romani che i cristiani potevano essere al contempo pecorelle di Dio e sudditi ossequiosi, quindi Roma non doveva temere l'Ekklesia (la nuova “assemblea dei credenti” cristiana). Lo capirà Costantino, nel IV secolo; ma questa, come si suol dire, è un'altra storia...
Natale Zappalà natalezappala.blogspot.com