Un villaggio fatto di pietre e fiori, dove la scozzesità assume una declinazione fiabesca.
Arrivarci, per me e Tabby Cat, è stata quasi un'avventura: da perfetta location fiabesca che si rispetti, mantiene anche lo schema narrativo tale per cui ci si deve arrivare dopo un percorso difficoltoso ed una serie di prove superate.
Io & Tabby a Pitlochry ci arriviamo sotto la pioggia.
Una pioggia grigia e persistente, singhiozzi intensi del cielo di Scozia.
Arriviamo alla piccola stazione ferroviaria con le panchine in ferro battuto dipinte di verde ed un omino fatto di fiori che dà il benvenuto ai turisti sotto uno scroscio persistente.
Anche l'omino di fiori è zuppo, i petali che lo formano piegano il capo prostrati dall'acqua. E ben presto scopriamo che questo variopinto Green Man è l'unica presenza antropomorfa nel raggio di qualche centinaio di metri.
E' domenica ed è passata da poco l'ora di pranzo. Non ci sono taxi. Non ci sono autobus.
Io & Tabby ci incamminiamo in salita, una mano infreddolita che stringe l'ombrello, l'altra umida che trascina la valigia sobbalzando sull'asfalto sbreccato, in mezzo a rivoletti d'acqua che corrono via veloci.
Sembra la scena di un romanzo vittoriano a questo punto, più che una fiaba.
E infatti la nostra guest house compare, all'improvviso, come una meta agognata, come un premio che un po' ti fa anche paura - austera, nobile, ottocentesca.
Pietra grigia contro il cielo grigio, immersa in un parco grande ed un po' cupo - contessa severa ligia alle antiche regole dell'alta aristocrazia, forse custode di un segreto. O di un fantasma.
Ci accoglie fagocitandoci nella sua epoca e nelle sue storie: vetrate in stile liberty, scale a chiocciola ricoperte di moquette verde imbottita, lunghi corridoi con le pareti a cassettoni, lampadari a goccia ed acqueforti appese ai muri - io da qui non vorrei più andarci via.
La nostra stanzetta con i due lettini gemelli a mezzo baldacchino sembra quella delle cameriere di Downton Abbey. Dalla grande finestra a vetri sbircio sul parco: cunicoli verdi serpeggianti fra siepi di tasso ed aiuole rosse, panchine di legno che cercano di nascondersi fra le nicchie ma che vengono fatte scoprire dai sentieri di ghiaia bianca che le ricercano e le circondano - con affetto, senza tregua.
Il parco è solitario. Ha solo la pioggia a fargli compagnia.
Guardarlo mi fa evocare scene da romanzo vittoriano - che sono tante nella mia testa, sono nel mondo della mia fantasia dove ogni tanto mi piace vagare, ma è un po' come se questo parco le riassumesse tutte.
Tabby alla fine mi convince ad uscire.
Ho le Converse bagnate e il mio ombrello a pois di Accessorize mi sgocciola addosso - ma non mi importa molto della pioggia.
Non mi è mai importato molto.
Se ami questa terra devi prendere tutto il pacchetto. E della pioggia non ti deve importare.
Durante la nostra permanenza a Pitlochry, l'acqua non ha mai smesso di cadere dal cielo.
E per me, alla fine, questo luogo è rimasto indelebilmente associato alla pioggia.
Ci ripenso, ma non riesco ad immaginarlo senza.
I suoi cottage di pietra sono lucidi per l'acqua, i fiori abbassano il capo per le continue pacche delle gocce che cadono dal cielo.
Andiamo avanti ed indietro sotto i due lati del porticato della High Street, entrando ed uscendo dai negozietti senza comprare nulla, guardando le gocce che colano dalla tettoia.
Però di Pitlochry mi ricordo anche i colori.
Il verde accesso dei rettangoli d'erba agli angoli delle strade, e quello più scuro della moquette e dei velluti della nostra guest house.
Le aiuole sfumate fra il rosa ed il viola.
Il tartan alle pareti del vecchio mulino trasformato in pub dove abbiamo cenato, e il bordeaux acceso del vino che abbiamo bevuto - assieme all'haggis ed al cheddar con le gallette d'avena.
E poi il rosso. Il rosso che in Gran Bretagna non manca mai, fra le cabine telefoniche e le buche delle lettere - un accessorio che vivacizza sempre qualunque tipo di grigio, quello del cielo o quello del cemento, in qualunque angolo di strada.
Perché i colori qua ci sono sempre.
Nonostante la pioggia.
Anzi, forse è proprio con la pioggia che si esaltano di più. Diventano più lucidi ed intensi, più forti, con più voglia di farsi vedere e di dirti "Non importa, non ti deve importare della pioggia. Ci sono io, guarda me".
Alla fine scopriamo che quella che ci ha fatto compagnia in questi giorni non era una pioggia qualsiasi, una pacata pioggerellina standard dell'estate britannica.
Si è trasformata ben presto in alluvione. Rischio esondazione.
Quando torniamo in stazione per salutare Pitlochry scopriamo che il nostro treno per Edimburgo è stato soppresso, perché tutta la tratta ferroviaria è stata chiusa a scopo precauzionale.
Il bigliettaio ci consiglia placidamente di rimanere lì un giorno in più e ripartire il giorno dopo.
Ma il giorno dopo noi dovremmo già essere su un aereo diretto in Italia.
Panico.
Che non so nemmeno più quanto duri esattamente.
Ad un certo punto la porta della minuscola sala d'aspetto si apre.
Entra un ragazzone con la voce tonante, seminascosto in una giacca impermeabile nera ancora più grande di lui: si chiama Mike e ci avrebbe portato fino a Perth, da dove il traffico ferroviario era regolare ed avremmo potuto prendere un treno per la capitale.
Lo abbiamo immediatamente chiamato "il nostro salvatore" - ma era semplicemente un servizio autobus sostitutivo predisposto dalla First.
E' solo che, in quanto italiane, ci piace non dare per scontate queste cose - gioire ed essere grate quando funzionano, perché sappiamo bene che non è sempre così.
Un po' come riuscire a vedere i colori nella pioggia...