Interessanti considerazioni apparsa su due Blog nazionali ieri.
Nel primo, Calcio & Business, il giornalista del Il Sole 24ore Marco Bellinazzo, nel dare conto delle indiscrezioni (le ennesime) sul futuro del Milan, osserva come la partita del nuovo socio non è di per sé stessa risolutiva. Dice infatti:
Proviamo a fare un pò di chiarezza. In primo luogo, va detto che l’immissione di capitali stranieri non può magicamente far tornare indietro il tempo e restituire subito ai tifosi i fasti del recente passato. I nuovi capitali servirebbero, piuttosto, ad abbattere i debiti (circa 260 milioni nel 2011) e a rinforzare lo stato patrimoniale della società. Per poter ingaggiare campioni o top player che dir si voglia servono maggiori entrate, perchè solo queste, in base al fair play finanziario, possono “coprire” i costi di gestione. Quindi serve uno stadio di proprietà, serve aumentare i ricavi dei diritti tv all’estero (quelli interni sono già molto alti) e serve incrementare sponsor e incassi legati alla valorizzazione del marchio (anche diversificando le attività).
Aumentare e diversificare i ricavi, quindi, per cercare di migliorare la situazione della Serie A, che è fortemente sbilanciata sui diritti TV nazionali e risente di un peso eccessivo del costo del personale:
Sul versante dei costi, effettivamente il calciomercato dell’estate 2012 ha portato ad una riduzione complessiva degli stipendi. Forse non è ancora sufficiente, ma certamente rappresenta un primo passo nella giusta direzione.
Sul versante dei ricavi, invece, le azioni sono più complesse e, soprattutto, di più lungo periodo.
Il tema degli stadi di proprietà è tornato fortemente alla ribalta negli ultimi mesi. il Disegno di Legge che era rimasto per 3 anni alla Camera dei Deputati è stato trasmetto al Senato il 12 luglio 2012 e da allora la pressione anche mediatica (Lega Serie A, Presidenti, Governo) è sembrata tutta nella direzione di una veloce approvazione.
Sull’argomento, il giornalista di Panorama Gianluca Ferraris ha pubblicato oggi un articolo sul suo Blog “Fair Play“, nel quale mette in evidenza tre aspetti per i quali lo stadio di proprietà è visto come un business da molti degli attori interessati:
- il rafforzamento patrimoniale dei club che dispongono così di asset tangibili in un bilancio le cui componenti sono spesso non misurabili (in particolare l’attivo, generalmente costituito dai diritti di sfruttamento dei giocatori);
- la diversificazione dei ricavi;
- la possibilità per i Comuni di liberarsi dall’onere di gestione degli impianti, addirittura potendo in alcuni casi monetizzare la vendita dell’impianto alla società di calcio.
A differenza di tanti (troppi invero) altri articoli sul tema, però, l’autore non esita a mettere in evidenza anche le controindicazioni a questa “salvifica soluzione” per il calcio italiano:
- non si dimentica di ricordare che la costruzione o ristrutturazione di uno stadio costa e che questo costo, quanto meno nei primi anni di vista dello stadio, può neutralizzare in parte o completamente sia il beneficio patrimoniale (perché all’immobilizzazione materiale, peraltro di un bene scarsamente vendibile, si contrappone un debito bancario), sia il beneficio economico-finanziario (perché ogni anno sarà necessario pagare le rate di capitale ed interessi, stanziando gli ammortamenti del bene).
- non si dimentica di ricordare che l’interesse da parte dei Comuni a liberarsi dalla gestione degli impianti e ad incassare capitale fresco per la vendita degli stessi ed gli oneri di urbanizzazione derivanti dai progetti di sviluppo, potrebbero portare a rendere troppo agevole un percorso che, dopo l’approvazione delle nuova legge, sarà già molto semplificato rispetto al normale iter di gestione.