Più deficit per ripartire

Creato il 06 giugno 2013 da Keynesblog @keynesblog

di Giorgio La Malfa, da giorgiolamalfa.it

Nelle Considerazioni finali lette venerdì scorso in Banca d’Italia, il Governatore ha certificato la straordinaria portata della crisi che ha investito e continua a investire l’Italia. Essa si riassume in pochi dati: una flessione del reddito nazionale nel 2012 del 2,4%; un ulteriore “forte calo” atteso anche per quest’anno; una ‘possibile’ e dunque assai aleatoria possibilità di un inizio di ripresa a fine anno. Ancora più drammatico è il raffronto fra il 2012 e il 2007, l’anno che precede l’inizio della grande crisi finanziaria: una flessione del 7% del prodotto interno nel 2012 rispetto al 2007; un calo del reddito disponibile delle famiglie nello stesso periodo del 9%; una caduta del 25% della produzione industriale; il raddoppio del tasso di disoccupazione, la disoccupazione giovanile salita al 40%.

Di fronte a dati di questa gravità vi dovrebbe essere una reazione immediata. Bisognerebbe discutere quali interventi urgenti in grado di interrompere una caduta rovinosa del paese e di mettere in moto la ripresa. Non si tratta di auspicare una ripresa “possibile” fra qualche mese: si tratta di impegnarsi a determinarla a qualsiasi costo. Di aprire subito una discussione sul da farsi e poi procedere senza esitazioni. Ed,i invece, il senso dell’urgenza di una svolta non c’è né nelle Considerazioni Finali della Banca d’Italia, sia nell’ampia intervista che il ministro dell’Economia Saccomanni pubblicata anch’essa venerdì. Il ministro dell’Economia esprime una serie di propositi condivisibili, ma non dà alcuna indicazione sugli effetti quantitativi che le misure che il Governo ha in animo di prendere avranno sull’andamento dell’economia, né indica i propri obiettivi quantitativi per il 2012 e per il 2013.

Quanto alla Banca d’Italia, essa sembra addirittura incerta nell’analisi sulla natura della crisi e dunque sulle vie per uscirne. La Relazione riconosce che le politiche di riduzione del deficit condotte nello scorso anno hanno comportato un effetto deflazionistico e stima che questo effetto abbia comportato una caduta dell’1% del reddito nel 2012. Si può discutere se questa stima sia esatta o se invece l’effetto negativo della austerità eccessiva che l’Unione Europea ci ha imposto sia stata ancora maggiore – come ormai riconosce con sforzo autocritico il Fondo Monetario – ma è la stessa Banca d’Italia a certificare che il rientro accelerato dal deficit ha avuto ed ha effetti negativi.

Se è così – e se si ritiene che la situazione italiana sia grave, anzi gravissima – allora la componente principale di una terapia urgente non può che essere una iniezione di domanda aggregata fatta attraverso il deficit pubblico: sono le stesse stime della Banca d’Italia a fornire sostegno a questa argomentazione. Dunque se la stretta fiscale ha effetti depressivi, si deve pensare che il modo più rapido ed efficace per fare ripartire l’economia sia uno stimolo della domanda attraverso il bilancio pubblico. Invece, la Relazione compie una marcia indietro proprio su questo punto. Scrive il Governatore a pag. 12 delle Considerazioni Finali: “E’ illusorio per noi pensare di uscire dalla crisi con la leva del disavanzo del bilancio.” Ma perché sarebbe illusorio, dal momento che poche righe prima la Relazione stima che metà della caduta del reddito sia stata causata dalla austerità? Lo si capisce subito dopo. Il problema è – scrive Visco – che “il margine di fiducia che risparmiatori e operatori di mercato attualmente ci concedono è stretto. I titoli pubblici da collocare ogni anno…sono nell’ordine di 400 miliardi”.

Allora non è illusorio pensare che il deficit possa servire a fare ripartire l’Italia: il problema è che l’Italia non si potrebbe permettere, in ragione del suo debito pubblico, questa politica. Ma, se è così, allora implicitamente la Banca d’Italia (e il governo) dice che non si può fare nulla per attenuare la crisi e bisogna accettare con rassegnazione la recessione fino a quando non sarà riassorbito il problema del debito pubblico. Da questo punto di vista i discorsi sulle riforme del mercato del lavoro, della giustizia e così via si rivelano per quello che sono: diversivi per fare dimenticare la sostanza e cioè le nostre autorità di politica economica pensano che non ci sia nulla da fare nell’immediato tranne che mettere a posto i conti.

Ma c’è ancora qualcosa di ancor più incomprensibile. Se Governo e Banca d’Italia ritengono che non si possa usare lo stimolo fiscale a causa del problema dei rinnovi annuali dello stock del debito pubblico, allora bisognerebbe concentrare l’attenzione sui modi in cui si possa allentare questo vincolo. In questo senso dovrebbero essere prese in esame le diverse proposte che circolano sui modi di ridurre il debito pubblico attraverso l’alienazione del patrimonio o quelle che riguardano la possibilità di allungare le scadenze del debito.

Poiché di tutto questo non si parla né nelle Considerazioni Finali, né nell’intervista del ministro dell’Economia, non si sfugge all’impressione amara che le autorità italiane siano rassegnate all’impotenza. Non osino porre problemi all’Europa, non cerchino di allentare i vincoli posti dal debito pubblico, non vogliano rischiare la disapprovazione dei mercati finanziari. Quello che è certo è che con questa rassegnazione l’Italia non riparte.


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