Dico, c’ho voglia di dire qualcosa. E – se non è il momento – per lo meno, questo è il posto giusto.
Questo è un discorso importante.
Uno di quelli che fai una volta e non fai più, perché i discorsi cambiano. Non sono mai gli stessi, si differiscono gli uni dagli altri per qualcosa in più o in meno. Nel mio caso c’è qualcosa di più che sottrae. Storie come “più per meno meno” che raccontavi al professore di matematica alle scuole medie, a memoria, di getto, tutto d’un fiato, perché non avresti mai immaginato di non poter riincontrare filastrocche del genere nel resto della tua vita.
(secondo la filosofia dell’età infatti – e questo è anche un dato di fatto – alle scuole elementari non verrà richiesta la filastrocca delle stagioni. Anche se quella dei giorni sì, la ricordi tutt’ora: trenta giorni a novembre con aprile giugno e settembre…“. Ma queste si chiamano semplificazioni della vita, sempre secondo la filosofia dell’età.)
Arrivi alle superiori, e tutto quello che fino ad allora avevi memorizzato, riemerge, nella forma più estesa. Come il vomito, per intenderci. Diventa tutto più impegnativo, così che quel “più per meno meno” finirà per radicarsi come la formula universale del tuo cervello. Te ne servi e la lasci lì, ne prendi un’altra e lasci lì anche questa.
Funziona così anche con i discorsi che si sommano e si sottraggono alla “più per meno meno” che ormai risuona come un motto, un grido, uno stile di vita che cominci a vestire. Vesti col più e svesti col meno, ne resta una nudità…volevo dire…una nullità, ecco.
Questo era un discorso davvero importante. La matematica dico, è un discorso serio. Per dire “più per meno meno” devi sentirtelo dentro, come il vomito.