Plasma works. Dalle geometrie topologiche al landscape urbanism (EdilStampa, Roma, 2012) è, sì, la presentazione artistico-architettonico-professionale del duo Eva Castro Holger Kehne, ma è soprattutto un'occasione piuttosto rara per una magistrale lezione sul 'cosa è' l'architettura digitale, ovvero su ciò che l'architettura è diventata dopo l'avvento del computer. E qui è quantomai opportuno intendere il termine 'computer' sia come strumento per computare, sia – soprattutto – come nuovo modo di conoscere ed operare, di intendere la realtà, di pensare a noi stessi. Non a caso il volume è parte della collana “IT Revolution in Architecture” (IT sta per information technology) diretta da Antonino Saggio, leader non solo in Italia dell'architettura digitale. L'autrice, Maria Elisabetta Bonafede, che già ci ha accompagnato a seguire le lungigittanti traiettorie degli architetti Kar Chu e Greg Lynn, qui accorcia il futuro e spiega come molte delle intemerate previsioni di pionieri dell'informatica trovino nell'oggi accogliente sede. Spiega come quello che è conosciuto nella veste di CAD si sia ormai trasformato in CAH (computer aided human) perchè esso, il computer, “entra dentro il processo del pensiero creativo e lavora in interazione con l'architetto, nello stesso modo in cui si pensa insieme ad un collega le cui competenze completino le nostre” (p. 12). Spiega come il concetto di “interconnessione”, di chiara matrice informatica, trasformi, tra le tante cose, anche la percezione dello spazio, ovvero della realtà e con la modellazione parametrica o le superfici topologiche (“enti geometrici che, come il terreno, sono continuamente modellati, deformati, piegati dalle azioni degli elementi che compongono il sistema, che a loro volta sono influenzati dalle variazioni dell'insieme”) danno il benservito a visioni riduzioniste e oggettiviste pre-quantistiche e allestiscono finalmente uno scenario idoneo per la complessità emergente. Spiega come, anche in architettura, il concetto di 'autorialità personale' sia ormai vetusto, arrogante e auto-ingannevole, perchè, in linea con L'etica hacker, occorre prendere coscienza della nostra inevitabile interdipendenza, della specializzazione delle competenze, delle benefiche proprietà dell'intelligenza collettiva (che Kas Oosterhuis declina in 'architettura di sciame'). Soprattutto, poi, c'è la lezione dell'agire open source e per passione, anziché secondo gretti tornaconti personali (incidi sull'architrave: “non lo farei mai solo per soldi!”). Il quadro che Bonafede tratteggia lascia il sapore di un'architettura de-materializzata, non tanto perchè non consti più di fisicità (solo l'architettura di Second Life potrebbe permetterselo), piuttosto perchè la materialità svela pienamente il suo ruolo caudatario, lasciando il primo piano a concetti quali 'pattern', 'diagramma', 'morfabilità'. Come esplicita il summenzionato Antonino Saggio, è l'informazione ormai “la materia prima dell'architettura”. E ancora da Saggio, Bonafede riprende il concetto capitale – riconosciuto dai Plasma stessi come fondamentale per la loro formazione – di “Un-nature”. Bonafede intitola il capitolo finale “Ricostruire la natura”. L'idea è profonda. Anche filosoficamente. Rivolta alla natura, l'espressione significa “ripararla” dalle offese e deturpazioni ambientali che nel corso degli anni l'essere umano le ha inferto, ma significa anche “rielaborarla” con un cervello che pensi con un lobo ecologico e l'altro artificiale. Soprattutto, però, significa “riformattarla” in codici che non possono derivare da epoche che non intuivano il pensiero digitale, ma che, al contrario, assumano in pieno i caratteri di fluidità, interazione, complessità impostisi nella nostra epoca. Quest'ultimo capitolo diventa così il primo di una nuova opera di pensiero. Di quale natura si sta parlando?
Plasma Works su Amazon.it
Vedi anche: gli articoli di Maria Elisabetta Bonafede (qui) e quelli di Andrea Vaccaro (qui), su Estropico.org.