Parliamo di plastica e di imballaggi: chiunque abbia una minima sensibilità ambientale sa che al giorno d’oggi il packaging è una delle maggiori cause di accumulo di rifiuti, soprattutto nelle grandi città dove tutte le comodità si traducono in grandi consumi.
Sappiamo anche che sono moltissime le maniere per ridurre questi sprechi, come l’acquisto di prodotti sfusi che permette di riutilizzare i contenitori (in vetro, plastica, carta) più e più volte, o l’uso delle sporte di stoffa piuttosto che quelle usa e getta.
Per fortuna però non è solo compito dei consumatori, quello di ridurre in tutti i modi l’impatto ambientale dei propri acquisti, ma anche delle istituzioni e delle aziende produttrici di packaging (come do follow) che oggi più che mai, anche grazie ai progressi tecnologici, devono e possono orientarsi verso una maggiore consapevolezza ambientale e di conseguenza un miglioramento delle produzioni: l’uso di materiali riciclati / biodegradabili / compostabili / riciclabili per gli imballaggi e i confezionamenti è solo una delle maniere in cui un’azienda o una singola persona può ridurre il proprio impatto.
La plastica tradizionale è ormai obsoleta, difficile da riciclare e da smaltire (un sacchetto di plastica impiega dai 10 ai 20 anni per degradarsi nell’ambiente), ma noi consumatori spesso incappiamo ancora in piccoli ostacoli come comprendere la differenza tra una plastica e una bioplastica, tra materiali riciclabili e non riciclabili e così via, e così in questa sovrabbondanza di stimoli e di informazioni, a volte vorremmo fare la scelta giusta negli acquisti o nella raccolta differenziata, ma siamo un po’ in difficoltà.
Ecco qualche chiarimento sulle differenze tra le nuove plastiche in circolazione:
Plastiche degradabili
Perché un composto possa essere considerato biodegradabile è necessario che esista un batterio in grado di decomporlo.
Un materiale non biodegradabile rimane identico nel tempo, e le sostanze più comuni con questa caratteristica sono le materie plastiche, formate principalmente da strutture molecolari di carbonio, idrogeno e ossigeno inscindibili in natura, se non in un indefinito periodo di tempo.
Le plastiche generiche quindi non si decompongono, ma si degradano in piccolissimi frammenti, che finiscono col disperdersi nell’ambiente, quasi mai in maniera innocua.
Qui tutte le sigle delle plastiche e di tutti i materiali di cui sono costituiti imballaggi e oggetti
Plastiche biodegradabili
Chiamate anche bioplastiche, derivano quasi sempre da materie prime rinnovabili (amido di mais, grano, tapioca, patate o zuccheri) e sono decomponibili nell’ambiente.
Usate specialmente per le borse della spesa, sono molto diffuse e in migliaia di diversi formati. Se inizialmente non sembravano l’ideale per sostituire gli shopper di plastica vietati nei supermercati italiani un paio d’anni fa, ora esistono in tante varianti e qualità diverse, per tutte le esigenze.
Plastiche compostabili
Si tratta di bioplastiche che possono disintegrarsi completamente in meno di tre mesi, senza lasciare traccia, e diventare parte del compost con cui vengono smaltite. Parlando quindi di buste compostabili ci si riferisce a un materiale che si smaltisce completamente e velocemente, ma solo se viene trattato in maniera opportuna: questo certo non autorizza a disperdere i sacchetti nell’ambiente. ;-)
Il PLA, per esempio, è un biopolimero prodotto con il mais che deriva dall’acido polilattico e costituisce un materiale d’elezione per la produzione di pellicole per l’imballaggio di dolciumi, prodotti da forno, e alimenti freschi e secchi.
Qui le sigle per riconoscere le bioplastiche
Esiste anche una certificazione per le aziende produttrici di plastiche compostabili che vogliono garantire ai propri clienti il massimo della qualità e della trasparenza. Si chiama Certificazione Vinçotte Uni –En 13432 e conferisce il marchio di conformità OK COMPOST.