A volte anche dalle lezioni più noiose possono nascere riflessioni interessanti. È quello che mi è successo ieri mattina mentre lottavo contro la noia, il sonno e il freddo di Palazzo Barolo.
La discussione verteva intorno alla poesia: tra fine Settecento e inizio Ottocento, poeti e teorici della letteratura si chiesero se essa fosse più efficace attraverso una vicinanza più stretta alla realtà oppure all'idealità. E qui è saltato fuori il caro vecchio Platone, per il quale, senza ombra di dubbio, contava di più l'ideale, poiché tutto di noi è destinato a perire tranne ciò che viene prodotto dal nostro intelletto. La poesia, dunque, deve essere una poesia dell'ideale, un'estrapolazione della forma che comunichi l'universale.
Ora, a parte ricordarmi perché non studio filosofia, l'assunto di Platone...