Da più di 18 anni il marchio PlayStation è sinonimo di videogioco. Anche grazie ai titoli prime parti
Oggi che PlayStation è un marchio famosissimo in tutto il mondo, per il pubblico potrebbe risultare difficile credere che quando Sony annunciò per la prima volta nell'ottobre del 1993 di essere al lavoro su una sua console a 32bit, in tanti nell'ambiente manifestarono un certo scetticismo. E che perfino all'interno della stessa compagnia giapponese, alcuni dirigenti si chiedevano se la scelta di entrare in un mercato sconosciuto, diverso da quello a cui erano abituati, si sarebbe rivelata sbagliata. Lo stesso presidente Sony di allora, Norio Ohga, pensava tutto sommato che le console fossero solo "giocattoli per bambini", anche se in un moto di orgoglio dopo il "tradimento" di Nintendo sul progetto SNES-CD e Play Station aveva dato il proprio assenso alla realizzazione di una piattaforma per l'intrattenimento elettronico.
"E ancora prima di entrare in questo settore eravamo considerati prossimi al fallimento" ha raccontato poco tempo fa Kazuo Hirai, ex CEO di Sony Corporation. Perfino chi scrive, nonostante poi abbia finito col tempo per comprare tutte le console marchiate PlayStation, e ne abbia fatto addirittura un importante strumento di lavoro, nutriva qualche dubbio in proposito.
Tutti noi siamo spesso vittime di preconcetti, talvolta subendoli perché gli altri ci valutano sulla base di idee generalizzate che non hanno un riscontro oggettivo, altre perché siamo invece noi che tendiamo, in via semplicistica, a considerare fatti, oggetti e persone sulla base di pregiudizi che non sono frutto di effettive esperienze, quanto di una certa superficialità nel valutare le cose. Chi scrive, naturalmente, non è immune a questa dinamica e uno dei preconcetti che aveva a proposito di videogiochi fino al 1996 era che esistevano solo due grandi colossi dell'intrattenimento ludico, e questi si chiamavano SEGA e Nintendo. Nessuno avrebbe mai potuto scalzarli, men che meno presentando una strana scatoletta grigia i cui giochi con poligoni 3D non lo ispiravano più di tanto. In fondo la grafica bidimensionale aveva un suo fascino, e titoli del calibro di Sonic, Super Mario, Final Fantasy VI o Zelda: A Link to the Past erano capaci di regalare emozioni e divertimento nonostante la loro apparente semplicità visiva. Certo, quegli spot maledettamente accattivanti che andavano in onda sulle emittenti nazionali ti rimanevano impressi per ore e finivano per condizionarti un po', ma alla fine lasciavano il tempo che trovavano. Essere così prevenuti era sciocco, bisogna ammetterlo, ma la convinzione che Sony era un'azienda straordinaria nel produrre stereo, videoregistratori e televisori, ma probabilmente non lo era nel fare videogiochi, visto che non aveva la minima esperienza nel settore, era più forte di qualsiasi pensiero logico.
Le chiavi del successo
Alla fine, a far cambiare idea radicalmente sulla questione ai più (chi scrive si innamorò definitivamente della console e del brand un pò più tardi, dopo un incontro diretto avvenuto in un negozio agli inizi del 1998, quando si convinse a portarla a casa assieme a un poker di giochi formato da FIFA 98, Resident Evil Director's Cut, Resident Evil 2 e Final Fantasy VII) ci pensò lo scioccante esordio della piattaforma sul mercato giapponese. Grazie a un prezzo inferiore a quello del concorrente Saturn, al design compatto, al controller ergonomico e a titoli come Ridge Racer e Toshinden, la console attirò l'attenzione dei giocatori dimostrando che Sony aveva tutte le carte in regola per competere con i veterani del settore. Da quel momento in poi per la compagnia sarebbe iniziata una scalata al successo che l'avrebbe portata nel tempo a diventare un colosso dell'intrattenimento videoludico, trasformando il suo marchio principe, PlayStation appunto, in sinonimo di videogioco. Ma come si è arrivati a questo binomio?
Quali sono stati i fattori che hanno determinato il successo di un brand che fra alti e (pochi) bassi, ancora oggi non sembra dare segni di cedimento?
A nostro parere hanno contribuito molteplici elementi, tra i quali i capisaldi sono stati un marketing aggressivo e ficcante, capace da solo di orientare le scelte dell'opinione pubblica con trovate spesso geniali. Poi lo stile elegante e moderno nella forma di ognuna delle piattaforme rilasciate, un'offerta ludica vasta e di qualità che ha sempre previsto un certo numero di esclusive di rilievo e, infine, una certa innovazione tecnologica in grado, almeno nell'ambito delle console, di precorrere talvolta i tempi rispetto alla concorrenza, prevedendo quasi in anticipo i gusti dei giocatori per soddisfarne le esigenze. Un ruolo non meno importante nel successo del marchio PlayStation lo ha recitato pure il fattore emotivo. In quanti hanno comprato una nuova console di Sony perché invogliati dal fatto che possedevano la precedente? E' normale del resto. Così come per le automobili, i vestiti, le televisioni, il cibo, ognuno di noi tende generalmente ad acquistare prodotti della stessa marca che ci ha soddisfatto, con la quale ci siamo trovati bene.
E a questa voglia matta di possedere una piattaforma di certo avevano contribuito gli esperti marketing della società giapponese, che per promuovere il marchio PlayStation e costituire una solida base di utenza, non ha mai badato a spese, soprattutto agli esordi.
Quando per esempio la sua prima console doveva essere rilasciata sui mercati occidentali, nel 1995, l'azienda secondo indiscrezioni spese qualcosa come 4 milioni di dollari per promuoverla all'E3 di quell'anno. Di pari passo, nelle settimane successive scatenò poi la sua potenza comunicativa: centinaia di messaggi promozionali indirizzati a un target di utenza sia adolescenziale che adulta, cominciarono a bersagliare costantemente il pubblico con intelligenti virali.
"Volevamo che i videogiochi passassero da prodotto di nicchia a fenomeno globale e senza limiti di età" avrebbe poi rivelato Phil Harrison, che in quel periodo faceva parte del management di Sony Europe e North America. "E per farlo dovevamo catturare il cuore e la mente anche dei giovani dai 19 anni in su".
Frasi come UR NOT READY o Non sottovalutate la potenza di PlayStation divennero in breve tempo di uso comune, così come negli anni successivi la disturbante immagine di Fi-Fi, la ragazzina dal look simil-alieno protagonista dello spot Mental Wealth di Chris Cunningham, o quelle più divertenti della fantomatica S.A.P.S. (Society Against PlayStation), intenta a dimostrare la pericolosità della potenza che la PlayStation poteva sprigionare, finirono in periodi diversi per colpire gli spettatori delle tv di tutto il mondo. Entusiasmo, senso dell'umorismo, dinamicità, gli spot di PlayStation sembravano ricalcare appieno gli insegnamenti di Dale Carnegie: non imitavano altri modelli, ma facevano risaltare l'unicità del prodotto. C'è stato un periodo nel quale il brand aveva un tale impatto sull'opinione pubblica, che Sony avrebbe potuto mettere in commercio anche una scatola piena di mattoni con sopra scritto PlayStation, e l'avrebbe venduta in una manciata di minuti. Basti pensare in tal senso che la successiva PlayStation 2 divenne in certi ambienti un oggetto di tendenza da possedere a ogni costo, uno status symbol talmente potente da spingere gli yuppies americani a fare a gara per comperarla a peso d'oro, ed esibirla nel salotto di casa, anche se non sapevano nemmeno come si accendeva.
PlayStation: La Potenza da non Sottovalutare - Punto Doc
La potenza non è nulla senza controllo
A parte le abilità dei suoi strateghi della comunicazione, a determinare ovviamente il successo ventennale del brand PlayStation hanno contribuito tantissimo i videogiochi e, di volta in volta, le capacità hardware delle macchine stesse, spesso foriere di innovazioni importanti a livello tecnologico. Ken Kutaragi immaginò proprio così per esempio la prima PlayStation: una console stupefacente, diversa da quelle della concorrenza, potente e in grado di supportare poligoni e velocità. Di offrire anche sul televisore di casa una grafica 3D in tempo reale come quella che iniziava a fare capolino sempre più spesso, con successo, nei cabinati da bar.
Kutaragi d'altronde è sempre stato un sognatore, genio e follia nell'accezione positiva del termine, e per molti aspetti ha incarnato alla perfezione lo spirito innovativo, la visione chiara del futuro e degli obiettivi da raggiungere di Sony. Dando sfogo al suo spirito creativo il papà di PlayStation concepì su queste basi anche la sua seconda console, una macchina che in linea coi tempi doveva essere in grado di aprire le porte al concetto di convergenza multimediale, col lettore per i film in DVD, le porte USB, la retrocompatibilità coi giochi PlayStation e il supporto per la connessione a Internet. Il cuore pulsante di PlayStation 2 era una sofisticata CPU a 128 bit che il visionario Kutaragi immaginava in grado di elaborare dei calcoli matematici capaci di simulare le emozioni, e che pertanto prese il nome di Emotion Engine. Non è un caso che l'ex presidente di Sony Computer Entertainment ritenga il poetico ICO del geniale Fumito Ueda il gioco che meglio rappresenta la sua idea. Su questa volontà di essere lui assieme alla sua azienda a guidare e a non subire i cambiamenti, e di sapersi adeguare per primi ai gusti e alle esigenze del pubblico, l'ingegnere concepì PlayStation 3 come una macchina che supportasse anche i film nel nuovo formato Blu-ray in alta definizione. Ma che avesse anche più opzioni internet con la possibilità ad esempio di giocare on-line e di accedere a un negozio virtuale grazie a PlayStation Network. Più che una console una vera e propria piattaforma multimediale e multifunzionale da salotto. Ovviamente la potenza da sola non è nulla se non viene supportata a dovere, ragion per cui una grande importanza nel successo del marchio PlayStation l'hanno avuta i videogiochi. Da quelli realizzati da team di sviluppo interni, a quelli creati dalle cosiddette terze parti.
PlayStation - Un video sull'evoluzione delle console Sony
L'importanza dei giochi first party
Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, competere con colossi del calibro di SEGA e Nintendo inizialmente non è stata un'impresa facile per Sony: la società di Sonic poteva contare su decine di titoli di successo e sulle conversioni dei suo famosi giochi arcade, mentre quella di Super Mario sul fascino del baffuto idraulico e sul talento di Shigeru Miyamoto. Sony non aveva niente di tutto questo e doveva pertanto darsi da fare. Per prima cosa il 16 novembre 1993 dava vita a Sony Computer Entertainment, la divisione della compagnia che si sarebbe occupata di gestire tutto ciò che riguardava il marchio PlayStation.
A essa affidò quindi l'incarico di stringere accordi con i più importanti sviluppatori giapponesi come Konami, Namco, Capcom e Squaresoft, per assicurarsi i loro supporto per il presente e per il futuro. Così facendo l'azienda poté contare per tanti anni e generazioni di console su titoli popolari del calibro di Final Fantasy, Resident Evil, Silent Hill, Winning Eleven, Metal Gear Solid, Tekken e tanti altri. Spesso in esclsusiva e a discapito delle rivali, alle quali nel frattempo si era aggiunta Microsoft. A questi prodotti si sono affiancati quelli realizzati da quei team interni che la compagnia giapponese ha acquisito o creato di anno in anno col compito di ideare nuove proprietà intellettuali Tripla A in esclusiva per il marchio PlayStation. La prima in tal senso fu l'inglese Psygnosis, famosa sul finire degli anni '80 e gli inizi del '90 per aver pubblicato titoli del calibro di Shadow of the beast di Reflections Interactive e Lemmings di DMA Design. Poi arrivò la giapponese Polys Entertainment, che i fan dei simulatori di guida hanno imparato a conoscere con il nome di Polyphony Digital: sono infatti gli autori di un marchio ormai storico nel panorama ludico mondiale, quello di Gran Turismo.
Nel 1999 fu il turno di Santa Monica Studio, team formato da Alan Becker nella contea di Los Angeles con l'obiettivo iniziale di realizzare nuove hit per PlayStation 2, inventando quella straordinaria proprietà intellettuale di God of War, che al pari di Killzone di Guerrilla Games, altro gruppo interno a Sony, è stato fra i prodotti più importanti per il successo in particolare del Monolite.
Ma la lista di società first party capaci di sfornare titoli di primo piano per tutte le PlayStation in commercio sono tante, basti pensare a Naughty Dog, che con il suo Uncharted e più recentemente con lo splendido The Last of Us ha invece contribuito in maniera determinante alle fortune di PlayStation 3. Come parte di Sony Computer Entertainment Japan Studio, importanti sono il Team ICO del genio di Fumito Ueda, e i Project Siren, autori di quel Gravity Rush entrato indissolubilmente nella mente e nel cuore dei possessori di PlayStation Vita. Senza dimenticare le esclusive garantite da gruppi indipendenti come Thatgamecompany, che grazie al videogioco Journey ha fatto raggiungere nuove vette di eccellenza alle produzioni a basso costo.
Dal 2005 tutte queste realtà sono state riunite in un'unica struttura, gli Studi Worldwide, una rete globale di team di sviluppo responsabile della direzione creativa, tecnica e strategica di tutto il software di intrattenimento sviluppato dalla società.
Gli Studi Worldwide saranno decisivi secondo gli analisti di mercato per determinare le fortune della neonata PlayStation 4, perché da loro ci si aspetta l'evoluzione di franchise famosi, ma anche un certo rinnovamento, con la nascita di nuove proprietà intellettuali.
In tal senso Sony si è dimostrata ancora una volta una di quelle aziende che non si risparmia mai quando si tratta di anticipare i tempi e cambiare, anche dal punto di vista organizzativo-progettuale. Così via il padre di PlayStation, Ken Kutaragi, spazio al nuovo, ai giovani. Quelli stessi giovani che ispirarono più di sessant'anni fa il nome dell'azienda, nata dall'unione della parola latina sonus e di quella inglese sunny con l'espressione del gergo giapponese Sonny boys, che negli anni '40 indicava una persona giovane, con uno spirito libero e innovatore. Proprio come quello di Mark Cerny, colui a cui è stato affidato il compito di portare il brand nel futuro con, per l'appunto, PlayStation 4. Una console versatile sotto ogni punto di vista che grazie alla facilità di sviluppo ha già attirato le attenzioni delle più importanti aziende produttrici di software. Il resto lo ha fatto di nuovo il marketing, aiutata pure dalla dea bendata.
God of War: La caduta degli dei - Punto Doc
D'altronde "Audentes fortuna iuvat", recita un celebre motto riconducibile al repertorio delle locuzioni latine attribuite a Virgilio. Così, se per la prima PlayStation un insperato quanto involontario aiuto per promuovere ulteriormente la bontà della piattaforma giunse dai rivali di SEGA col loro Virtua Fighters, per la quarta console domestica di Sony l'assist è arrivato dalla rivale Microsoft. Mentre al PlayStation Meeting si celebrava infatti PlayStation 4, sulla rete infuriavano le polemiche sulla presenza di un sistema anti usato nella Xbox One. E per gli scafati esperti di comunicazione dell'azienda giapponese, nonché per i suoi dirigenti, la notizia è stata l'equivalente per un attaccante di ricevere un passaggio da Cristiano Ronaldo sulla linea di porta a portiere battuto, col solo compito di spingere la palla oltre la linea, in rete. Dopo alcuni commenti volutamente vaghi, Sony annunciò che PlayStation 4 non avrebbe avuto nessun sistema anti usato integrato nella console o nei giochi da lei pubblicati. Pertanto il giocatore è dunque libero di scambiare, prestare o vendere ogni titolo first party senza alcuna limitazione. Una mossa astuta a livello di marketing, che assieme a un prezzo di vendita più basso è servita a guadagnare consensi e per conquistare l'interesse di una gran parte dei giocatori, oltre che per far passare in secondo piano una line-up di lancio esclusiva piuttosto povera, con Killzone: Shadow Fall e Knack come uniche esclusive di rilievo.
PlayStation 4 - Il più grande lancio di una console