Due facce della stessa medaglia, quella del viaggio, e due sensazioni che spesso pervadono anche me, quando parto e quando arrivo, anche se ogni viaggio -anche un ritorno- è una partenza e ormai non so più dire cos’è per me un arrivo (arrivo in Italia? no, vado in Italia per visitare i cari. arrivo a casa, ma se casa è via, è fuori, è lontano dagli affetti e dalle vecchie abitudini, non sto arrivando né tantomeno tornando da nessuna parte, sono solo intrappolata nel loop del viaggio dovuto all’estraneità… comunque…): da una parte, quando faccio ritorno ai luoghi che nella mia memoria hanno un significato emotivo particolare, faccio fatica a ritrovare quello che era rimasto impresso nei miei ricordi (e nel corso di questa breve vacanza è successo ben tre volte: 1. tornando nella città dove sono cresciuta, in cui il paesaggio urbano e sociale evolve -in negativo- in un batter d’occhio quindi le mie visite semestrali portano sempre a inevitabili cultural shock; 2. quando mia sorella mi ha inviato un sms da Parigi dicendomi che il chiosco di crêpes che tanto mi piaceva dove avevamo mangiato insieme non esiste più; 3. arrivando in via Garibaldi a Venezia e trovandola trasformata in una sorta di campo Santa Margherita per autoctoni), dall’altro l’immobilismo cerebrale dell’Italia, una nazione che ha bisogno della badante, provoca in me frustrazione obbligandomi a fare i conti con come, in questi anni all’estero, tutte le persone per me importanti continuino a rappresentare le stesse cose di quando eravamo vicini e conducano esattamente la stessa vita di allora, e io non mi riconosca più nella ragazzina che era partita con lo zaino in spalla e il sorriso rivolto alle nuvole.
Viaggiando si cambia, si cresce e, in alcuni casi, si peggiora.
- ascolto: Dancing for Rain (Rise Against)
- mood: singin’ in the rain!