non dice
viaggia sulla direttrice medesima del segno
che dice non parlando
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di Giuliana Lucchini
Da quando la metrica è stata di fatto abbandonata e il verso si è ritenuto libero da rima, altre esigenze di poesia premono sul testo.
Oggi si prediligono percorsi poetici di valenza enigmatica, scrittura informale che dicendo cela.
Accostamenti imprevisti sul suolo lessicale, parole a ruota libera, su lastricato scivoloso in quanto si può saltare di palo in frasca seguendo i flussi della coscienza, le cadute, se ci sono, sono occultate dalla ovvietà del risultato. Il poeta si innamora di ciò che scrive, non taglia, non elimina. Tutto è possibile: “fuorché dire qualcosa”, commenta Alfonso Berardinelli.
Poesia oggi: come per un quadro astratto è la pittura, colore liquido gettato sulla tela, poi capovolta a lasciarsi asciugare in verticale. Se il metodo è seguito da molti, il pericolo per il poeta sta nel non potersi distinguere come personalità individuale.
E’ complicato stabilire cosa si intenda in effetti per ‘poesia’ nel tempo nostro.
Esistono molte definizioni dal passato, ma nessuna esauriente.
Un testo poetico di oggi, di qualsiasi tipo o registro – lirico/narrativo, realista, intimista, astratto, concettuale – forza di natura, spirale fonica – o altro – è degno di chiamarsi poesia quando, in qualche modo, prende di sorpresa, desta attenzione: quando suscita qualche tipo di emozione (di testa, di cuore) in chi legge o ascolta.
“E’ del poeta il fin la maraviglia”, già lo diceva a suo modo Giambattista Marino.
Senza questa valenza di stimolo non esiste rapporto, né travaso, tra creatore e fruitore: le parole restano distese in se stesse come su una lapide. Per ciò si dice: ‘lettera morta’.
Poesia è totalizzante: investe mente, cuore, sensi del corpo. Se lo scopo è fare ‘arte’, bisognerebbe riflettere su ‘come’ scrivere e ‘quanto’ scrivere.
Tuttavia, si può predicare bene e razzolare male.
Mille domande vengono alla mente.
Vorrei prendere in considerazione gli attrezzi dell’arte, forma e materia, stile, contenuto: lo spazio del suono e quello del silenzio, la spinta del movimento, la sosta della stasi.
Quando leggo un libro di poesia di oggi mi dico, a prima vista: ‘A che punto siamo con il ritmo, con la vitalità data alla forma ’. Funziona?
E di quale colore è la materia che vibra nella disposizione grafica della pagina. Sangue caldo, sangue freddo? In senso lato, quanto di bianco grava sul nero o viceversa.
Quanto di oggettività, concretezza, quanto di astrazione è portato nei versi.
Senso di logica imperturbata o soggettività semplicistica?
Quanto di concentrazione o dispersione, nell’articolarsi del testo: nel gioco del lessico, nell’organizzazione sintattica.
Se il discorso è sintetico o prolisso, questo salta all’occhio.
Quanta fantasia, potenza di immagine, estro/versione, nel rappresentare la realtà?
E il linguaggio poetico: si pone come tentativo di innovazione, approccio riformato sui postumi della tradizione poetica? Flusso di getto, passo di riflessione, metafora?
Quanto di non esplicito o quanto di eversivo si posiziona fra le righe del testo.
Così mi chiedo come sono organizzati i suoni del Verbo. L’intonazione è melodica, sentimentale, o severamente armonia ? Si modula su affetti, razionalità, psichismo?
Rispetto alla costruzione del testo singolo, o dell’insieme dell’opera, quale disegno architettonico l’intelletto progetta dai labirinti mentali, per la pagina.
Quale scarto di novità, di senso, produce. Quali equilibri, con quale economia dei mezzi stilistici. Quanto d’ispirazione nel gettito. Quanta abilità retorica. Quanta bellezza/rarità di parola; apertura a significati multipli, spiragli a ventaglio:
“Que el verso sea como una llave (‘ Che il verso sia come una chiave,
Que abra mil puertas”, Che apra mille porte ’)
(così inizia la poesia ‘Arte poética’ di Vicente Huìdobro).
Le considerazioni non finirebbero mai. Ci si potrebbe chiedere in quale concetto di sé e del mondo, con quale coinvolgimento nel molteplice, il poeta conduce in consistenza letteraria, filosofica, ciò che trasmette, che vuole, o no, fare capire.
Cosa prevale in superficie: elegia, intelletto, introspezione?
Con quale voce: pacata, concitata, indifferente, franta? Alta/bassa, sottotono.
Per salti di fuga, a frammenti…
Cerco nel libro che considero, se capita, riferimenti ad altri poeti, imitazioni di versi, citazioni esplicite o occulte (ambizioni alla T.S.Eliot ?), referenze d’amore o di avversione, di avventura. Movimenti scrittorii di contrappunto, ossimori, opposizioni, parole pure, a rilievo, parole ‘congelate’, tanto fredde da risultare immobili.
Quale valore di leggerezza/pesantezza, profondità di scandaglio, i versi assecondano fra parola e silenzio. Se fosse un quadro, quale visibilità di pittura realizzerebbe.
E l’ironia, a equilibrio della bilancia fra i pesi, se c’è, è spontanea o testardamente cercata per i tempi. L’umore espresso è ‘divertimento’ , dissacrazione, o cos’altro?
E l’ambiguità, o la densità di espressione che ancora si sente dietro la pagina scritta?: questa è capacità poetica, intelligenza da considerare.
Per fare un poeta basta, dicono, una manciata di poesie perfette, che obbediscano a regole di originalità e immediatezza. Velocità di pensiero/azione. La bella ‘concisione’.
Riconosciamo che il bisogno di scrivere porta spesso il poeta a raggiungere, per vie traverse, strade di mezzo fra eccellenza e pochezza.
A questo punto mi sento di dire, non per parte, che la donna oggi (chiamata ‘poeta’ per darle vigore, ma in verità nobilmente ‘poetessa’, per la lingua italiana, come Saffo) supera spesso il corrispettivo maschile per qualità dei testi, per traguardi ottenuti.
Ma proseguiamo l’indagine.
Se volessi, per finire, entrare a ‘curiosare’ nell’intimo dell’autore (preferisco lasciarlo assente dall’opera), mi potrei chiedere a quale punto della vita, per quale spinta spirituale, sotto quali pressioni psicologiche, lui/lei ha potuto giungere a questo. Quale dono di natura, o quali gioie/dolori ne hanno acuito la sensibilità, quale evoluzione/metamorfosi della visione mentale.
Perché le opere di poesia sono testimonianze di vita, periodi diversi dell’esistenza del singolo – e in questa forma di scrittura l’individuo raggiunge una sua verità personale, che è poi traccia del suo passaggio, e lezione di storia.
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Se in questo ipotetico libro di poesia che prendo in esame qualcosa invece è carente, se gli elementi del fare poetico non sono abbastanza sviluppati in energia (tecnica inesistente, piattezza generica, scarso senso autocritico, nessuna acutezza, mancanza di interrelazione fra poli, assenza di scatto verbale, di accostamenti lampo) concludo che dai pensieri espressi l’organizzarsi formale non ha portato musica.
E se non c’è nessun tipo di musica nei suoni assembrati, se il contenuto è scarso di proposta, la lingua è dimessa, o banale, di comunicazione comune, dov’ è l’arte infine? Arte povera si direbbe, se trova sostanza in certe condizioni d’ambiente, e al momento giusto.
“And art a paradigm of earth new from the lathe/ Of ploughs”, vv.7-8
(‘E l’arte un paradigma di terra nuova dal tornio/ Degli aratri’)
(Seamus Heaney, da ‘Glanmore Sonnets’, I, trad. Francesca Romana Paci).
Altrimenti, niente di niente, una parola dopo l’altra, che non muova emozioni (di intelletto o di cuore, l’abbiamo detto) , o che non giochi d’azzardo, sia pure con scalate impervie di linguaggio, proposte insolite, di ritmo, di timbro, dissonanze ma in giusta misura, non forma testo di interesse. Non è poesia.
La lettura deve anche dare un piacere, di sfida, duello fra due. Oltre ad essere ginnastica della mente.
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Per concludere:
pare giusto, nel considerare la poesia rispetto alla sua evoluzione nel nostro punto di vista, riferire ogni testo preso in esame al gusto corrente del tempo in cui è stato scritto (il gusto si evolve nel giro di non molti anni), e tenere in memoria i monumenti della tradizione, per non dimenticare che, come pare scrivesse T.S. Eliot :
“Il tempo presente e il tempo passato sono presenti nel tempo futuro, e il futuro è racchiuso nel passato”. Viene ancora a proposito Seamus Heaney in una poesia che attesta il valore di semplicità senza tempo delle cose vere:
xxxvii ( da Squarings // Misurazioni) :
In famous poems by the sage Han Shan,
Cold Mountain is a place that can also mean
A state of mind. Or different states of minds
At different times, for the poems seem
One-off, impulsive, the kind of thing that starts
I have set here facing the Cold Mountain
Fot twenty-nine years, or There is no path
That goes all the way – enviable stuff,
Unfussy and believable.
Talking about it isn’t good enough
But quoting from it at least demonstrates
The virtue of an art that knows its mind.
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(In famose poesie del saggio Han Shan,
Montagna Fredda è un luogo che può significare
uno stato della mente. O differenti stati della mente
in differenti tempi, perché sembrano poesie
impulsive, irripetibili, del tipo
Sto seduto qui in faccia a Cold Mountain
Da ventinove anni, o Non c’è cammino
Che vada fino in fondo – roba invidiabile,
facile e alla mano.
Parlarne non è affatto sufficiente
ma citarle per lo meno dimostra
la virtù di un’arte che sa quello che fa.)
(S.H. ‘Poesie scelte’, trad. N.Fusini, Marcos y Marcos, 1996)
(La traduzione, che ad un certo livello si renderebbe superflua per il crescente diffondersi della lingua inglese, anche letteraria, nel mondo divenuto globale, arricchisce tuttavia il testo originario di un’aggiunta di possibilità della raggiera dei suoni nell’organizzazione del linguaggio poetico in nuovo codice linguistico, senza detrarre in intensità di espressione).
&
E dunque cosa fare?
Ogni poeta si tiene pronto, flessibile, dinamico, aperto verso l’oltre confine del suo sentire: per portare qualcosa di nuovo, di ‘diverso’, che lo distingua fra mille.
Deve essere esigente con se stesso, critico, impietoso. In Svizzera la pittrice surrealista Meret Oppenheim, riferendosi ad artista visivo, suggeriva: “.. deve, come un sismografo, avvertire in anticipo i segnali del cambiamento”.
Altrimenti sarà nessuno nella società del suo tempo.
Ma questa è un’altra questione…
&
Ci ha lasciato Montale, che se lo poteva permettere, una arguta nozione di ‘poesia’:
“La poesia consiste,
nei suoi secoli d’oro,
nel dire sempre peggio
le stesse cose. Di qui l’onore e il pregio.
In tempi magri è un’epidemia,
chi non l’ha avuta l’avrà presto, ma
ognuno crede che la malattia
sia di lui solo e che all’infermieria
il posto per l’egregio sia il peggiore.”
Altrettanto sapido, per chi voglia approfondire come si può scrivere poesia, in effetti una lezione per i tempi ‘nuovi’, il suo testo da ‘Poesie sparse’ 1918-1928, intitolato:
SUONATINA DI PIANOFORTE
Vieni qui, facciano una poesia
che non sappia di nulla
e dica tutto lo stesso,
e sia come un rigagnolo di suoni
stentati
che si perde tra sabbie
e vi muore con un gorgoglio sommesso;
facciamo una suonatina di pianoforte
alla Maurizio Ravel,
una musichetta incoerente
ma senza complicazioni,
ché tanto credi proprio
a grattare nel fondo non c’è senso;
facciamo qualche cosa di ‘genere leggèro’.
Vieni qui, non c’è nemmeno bisogno
di disturbar la Natura
co’ i suoi seriosi paesaggi
e le pirotecniche astrali;
né tireremo in ballo
i grandi problemi eterni,
l’immortalità dello Spirito
od altrettanti garbugli;
diremo poche frasi comunali
senza grandi pretese,
da gente ormai classificata,
gente priva di ‘profondità’;
e se le parole ci mancheranno
noi strapperemo il filo del discorso
per svagarci
in un minuetto approssimativo
che si disciolga in arabeschi d’oro,
si rompa in una gran pioggia di lucciole
e dispaia lasciandoci negli occhi
un pullulare di stelle, un’ossessione di luci.
Poi quando la suonatina languirà davvero
la finiremo come vuole la moda
senza perorazioni urlanti ed enfasi;
la finiremo, se ci parrà il caso,
nel momento in cui pare ricominciare
e il pubblico rimane con un palmo di naso.
La spegneremo come un lume, di colpo. Con un soffio.
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FONTE IMMAGINE: http://www.ilculturista.it/cultura/wp-content/uploads/poesia.jpg