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Il grido disperato di Pasolini è rivolto essenzialmente alla (pre)visione di quanto sul finire degli anni’70 era in fieri ma si sarebbe conclamato da lì a poco, la decadente mercificazione di uomini ridotti ad esseri privi di una benché minima scelta che non sia imposta, subdolamente, dall’alto.
Qualsiasi atto non è più manifestazione di un’intima soddisfazione, non è frutto di una spontanea volontà di ricerca, ma “semplice” oggetto al centro di una decadente mercificazione, ricercata ed imposta in nome di un permissivismo consumistico, il corpo come merce, legalizzato ad uso e consumo delle classi dominanti. L’urlo straziante di una ragazza (Dio, perché ci hai abbandonati?) che precede le terrificanti torture alle quali i Signori assistono dall’alto del loro palazzo, nell’ottica ravvicinata offerta dai cannocchiali, rende testimonianza, più che all’assenza di una divinità a lungo invocata, al totale sostituirsi nell’esercizio del potere alle “funzioni” proprie di Dio.
Franco Citti in “Accattone”
Il finale, sempre ad avviso dello scrivente, può offrire nella sua ricercata ambiguità una duplice interpretazione: i due militi che danzano insieme una volta mutato canale radio (dai Carmina Burana si passa al motivetto Son tanto triste), si trovano a raffigurare tanto una possibile, ritrovata, fiducia dell’autore nell’essere umano, nella sua capacità di mettere in atto, pur nell’orrore, degli atti di spontanea vitalità (anche se occorrerebbe mettere in conto un Pasolini che prende le distanze da se stesso, dalla lucida consapevolezza dell’ “abominio della desolazione” visibile in quanto finora narrato), sia l’indifferenza conclamata anche da parte della gente comune verso l’incipiente tragedia quotidiana, dopo quella manifestata dai potenti attraverso il loro distante punto di vista, ormai dimentichi del prossimo come “altro da sé”. E’ una morte spirituale, quella della mostra primigenia essenza e non il distacco dal mondo terreno visto altre volte da Pasolini in forma di salvifica resurrezione degli umili e dei semplici, dei non corrotti, una volta lontani dalle storture del mondo.
Basti pensare al riguardo all’ultimo respiro di Accattone, interpretato da Franco Citti (“Ah, mò sì che sto bene”), o alla morte di Stracci (Mario Cipriani), il ladrone buono in un film sulla passione di Cristo ne La ricotta, cui le parole del regista Orson Welles offrono una particolare benedizione: “Povero Stracci… Crepare, non aveva altro modo per dimostrarci che anche lui era vivo”.
Stracci (Giovanni Cipriani, “La ricotta”)
Neanche Pasolini è sfuggito a tale particolare vitalità, la sua tragica morte, ancora più che la sua vita, è stata oggetto di scandalo e clamore, sfruttata e vilipesa. Ma la morte, riprendendo le sue parole, “non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”. Oggi, all’interno di una società dove l’immagine viene prima dell’uomo, il benessere viene stimato in base al profitto e al possesso, in nome di un progresso che non sempre vuol dire evoluzione, se si perde di vita la propria identità storica e culturale, nel fallimento di ogni ideologia che non sia il proprio personale tornaconto, le sue parole espresse attraverso vari mezzi, dalla poesia alla televisione, arricchendosi man mano anche di visioni ingenue o contraddittorie ma sempre stimolanti ai fini di un dialogo costruttivo, assumono quella opportuna consistenza lungimirante che a loro è sempre appartenuta, come credo sia ben evidenziato dalla poesia Alla mia nazione (La religione del mio tempo, 1959), cui affido la conclusione dell’articolo.
Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.
*Il Decameron (1971); I racconti di Canterbury (1972); Il fiore delle Mille e una notte (1974)