Incontro con Matteo Chiavarone che ci aiuterà a capire dov’è la poesia nel 2012.
Dalla, album 1980
Il primo marzo è morto Lucio Dalla. A me, che amo tanto la lettura, quando penso a frasi poetiche, vengono in mente prima i testi di canzoni, che le liriche dei poeti. “Quale Allegria”, “Cara”, “Futura”, “Com’è profondo il mare” sono solo alcuni dei pezzi di Dalla che trovo poetici. Nonostante fosse musicista e compositore, del suo repertorio ricordo soprattutto le parole. Del resto le poesie della mia giovinezza, non erano solo quelle scritte da Prévert, che poteva essere un po’ il Claudio Baglioni dei poeti francesi, ma piuttosto le canzoni di De Gregori, Paolo Conte, Ivan Graziani, Renato Zero, Enrico Ruggeri, Eugenio Finardi, Samuele Bersani. Cercando fra i libri che possiedo ho dovuto faticare parecchio per trovarne una decina di poesia e tutti (tranne uno) di Poeti che avevo studiato a scuola: Leopardi, Pascoli, Ungaretti, Saba, due Montale, due Prévert in francese, “Antologia di Spoon River”. Solo uno trovato usato in una bancarella a Bologna nel 1986 e pagato 500 lire, l’ho comprato anche se non conoscevo l’autore, dopo aver letto qualche poesia aprendo le pagine a caso. Si tratta di “Ipotesi” di Murillo Mendez, edizione Guanda 1977. È l’unico libro di Poesia che rileggo regolarmente.
Matteo è nato nel 1982 ed è un poeta. Ha già pubblicato libri di poesie. L’idea che un trentenne scriva poesie, che curi opere di altri poeti, che si adoperi per mantenere viva e vitale l’editoria poetica, mi ha riempito di gioia. Lo trovo inconsueto e romantico. Il suo ultimo libro “Blanchard Close” edito da Giulio Perrone nel 2011, contiene questi versi.
ed io penso ad un gioco di forze
bene o male e giusto o sbagliato
padre padrone, sindrome patriarcale;
io ti dico che la lingua è potente
perché con essa si può dire di tutto;
tu ridi, mi guardi e mi chiedi:
cosa c’entra de Saussure con la religione?”
Ma allora, se la canzone d’autore occupa il posto delle poesie, la poesia oggi dov’è? Chiediamo aiuto a Matteo Chiavarone: le sue 11 risposte ci guideranno verso il luogo in cui la poesia è sempre al centro dell’attenzione.
1 – In generale, un poeta sa di essere poeta? E tu, in particolare ti consideri tale? Che occupazione c’è scritta sulla tua carta d’identità?
Innanzitutto ne approfitto per ringraziarti di questa chiacchierata e per unirmi al saluto a Lucio Dalla, autore che, come tutti gli artisti che ho amato profondamente, ho sentito sempre come “uno di famiglia”. Il dolore che ho provato alla sua morte è lo stesso che ho provato quando, giovanissimo, seppi della morte di De Andrè e poi più in là per Gaber. Nell’elenco dei “poeti della musica” che hai fatto ho notato le loro due assenze a aggiungerei anche quella di Francesco Guccini, a mio avviso il più grande di tutti. Purtroppo troppe volte sono stati considerati “politici” e quindi non universali ma si tratta di una riduzione che non meritano. Ti dico questo per agganciarmi alla tua domanda. Un poeta sa di essere poeta quando esprime un valore civile.
Paolo Conte "Parole", Alemanni ed. 1991 - Premio Librex Montale - Poetry for music
Questi nomi che abbiamo fatto hanno espresso da sempre questi valori, anche quando hanno parlato semplicemente d’amore. Loro sapevano e sanno di essere poeti. Credo anche che non bisogna vergognarsi a definirsi “poeta”. Il “poeta” come figura esiste molto prima di tante altre figure professionali e della società civile. Perché un poeta dovrebbe aver paura di definirsi tale? Chi scrive poesia è poeta. Ma la poesia deve essere poesia a tutti gli effetti. Non versi buttati lì sulla carta. Non esiste poesia buona o poesia cattiva. Ma poesia e non poesia. Sarà il tempo a dirmi se potrò considerami poeta oppure no.
Sulla mia carta d’identità c’è scritto ancora “studente”, è vecchia di molti anni… Dovrei cambiarla prima o poi ma non so cosa scriverci: ho la fortuna di fare moltissime cose. Ti risponderò fra un annetto circa…
2 – Esiste un tratto comune ai poeti? Ne conosci e frequenti altri?
Sì, esistono tratti comuni ma non sono sempre palpabili. Sì, ne conosco alcuni più o meno noti. Con molti abbiamo intrapreso cammini comuni, con altri ci possiamo definire amici, altri ancora magari ci conosciamo ma senza frequentarsi.
Negli ultimi mesi ho avuto la fortuna di “frequentare” uno dei poeti che più apprezzo da sempre, Gezim Hajdari, e di poter pubblicare, con la casa editrice Ensemble di cui sono il direttore, alcuni giovani interessantissimi. Segnalo, scusandomi per il conflitto di interessi, Massimiliano Damaggio, Paulina Spiechowictz, Gerry Gherardi, Matteo Ramundo ma anche molti altri. E, oltretutto, il mio socio nella casa editrice, Massimiliano Coccia, è anche lui un poeta molto valido, diversissimo da me come stile ma capace di creare una dimensione al tempo stesso profonda e surreale.
Andrea Zanzotto, Poeta 10/10/1921 – 18/10/2011
3 – Hai appena curato un’antologia su Zanzotto. Lo hai conosciuto? Pensi anche tu che le canzoni tolgano spazio alla poesia?
No, purtroppo non ho avuto la fortuna di conoscerlo come uomo. L’ho conosciuto come poeta e questo mi basta. Le canzoni non tolgono lo spazio alla poesia, ne offrono molto semmai. Ma ripeto: non sbagliamo a definire una bella canzone una poesia. Alcune lo sono, la maggior parte no. Lo spazio alla poesia non c’è perché è la società ad essere meno poetica. Ma sarebbe un discorso troppo lungo…
4 – Ci sono un luogo, un momento della giornata, una situazione che più di altre ti ispirano?
Ho provato a portarmi appresso taccuini e penne ma voglio essere sincero: ho bisogno della tastiera per scrivere: Il giorno guardo e osservo il mondo che viviamo. La sera, quando ne ho voglia e tempo e ispirazione lo traduco. Sì, ho bisogno della notte per scrivere.
5 – Che musica ascolti? Quale brano ti aiuta a scrivere? C’è un genere che invece non puoi proprio sentire?
Fabrizio De Andrè 1980
Beh, sì è capito che amo la musica italiana dei cantautori. L’elenco che abbiamo fatto (unendo i tuoi e i miei con qualche eccezione) può darne un’idea. Se avessi avuto un centesimo per ogni canzone di De André, Guccini o De Gregori ascoltata sarei l’uomo più ricco del mondo. Non sto scherzando. “Incontro” credo che negli ultimi venti anni l’avrò ascoltata almeno una volta al giorno di media…
Non amo la musica chiassosa, né quella da discoteca. Per me la musica deve essere armonia non scontro. La rabbia deve venire dal cuore e dalle parole, non da rumori.
6 – “Una metafora come si fa? – Mi viene una poesia o la verità.” In Coccodrilli di Samuele Bersani. Se ti dico che per me questa strofa è poetica, tu cosa mi consiglieresti di leggere che sia veramente poesia, ma affine alla mia capacità di cogliere il sentimento poetico?
Cosa ti consiglierei di leggere? Mi viene in mente Palazzeschi, Moretti, il Pirandello poeta che conoscono purtroppo in pochi. Dei contemporanei ti piacerebbe Panella o Roversi, che sono quelli che hanno collaborato con Battisti e Dalla… Poi non so, se dovessimo incontrare ti porterei alcuni libri di alcuni ragazzi che sicuramente ti piacerebbero ma che ancora non sono conosciuti al grande pubblico. Credo anche che ti potrebbero piacere quelle di Massimiliano, ti consiglio il suo ultimo libro: Non parlate al conducente (Perrone, 2011).
Posso aggiungere una cosa? Quando vai in libreria, fermati nello scaffale della poesia e prendi due tre libri a caso: sono sicuro che, aprendoli, troverai un verso che ti farà amare quell’autore.
7 – A che età si inizia a scrivere poesie?
Si inizia a scrivere in adolescenza quando le ragazze non ti guardano e ti sembra che il mondo faccia schifo. Poi quando le cose vanno meglio molti lasciano carta e penna, altri continuano.
Credo che per scrivere poesia che è poesia bisogna avere una certa maturità. Senza perdere il “fanciullino” bisogna essere stati in contatto con la commedia umana per poterla raccontare.
8 – Le poesie che so ancora a memoria me le ha insegnate la mia maestra alle scuole elementari. Faresti l’insegnate per instillare la passione poetica nelle menti fertili della prima infanzia? E se non vivessi della tua scrittura, che faresti?
Matteo Chiavarone, Irene Ester Leo, Stefano Giovinazzo
Tra le cose che faccio sono anche insegnante. Cioè vorrei esserlo e purtroppo solo poche volte all’anno mi chiamano come supplente nelle scuole medie. Ogni volta che entro in classe modifico sempre il programma cercando di trovare il modo per parlare di poesia… Anche quando vengo chiamato a seguire alcuni ragazzi per insegnare l’italiano parto sempre dai versi. È più semplice… Purtroppo non vivo di scrittura, se per “vivere” si intende “guadagnare”… è una passione che a volte diventa realtà, quando si tramuta in libro. Ma soldi se ne vedono pochissimi…
9 – Quale, secondo te, la città dove scrivere e quella dove vivere?
Amo le città portuali come Genova o Trieste ma sono di Roma e chi è di Roma in un modo o nell’altro torna sempre lì. Vivo e scrivo a Roma, c’è tutto per scrivere e per vivere. Nonostante sia una città gestita malissimo e con una pessima amministrazione e che molti tratti “romani” non riesco proprio ad accettarli. Ma forse ce li ho anche io e non me ne accorgo…
10 – Che libri hai sul comodino? E in bagno?
In bagno fumetti, settimana enigmistica, giornali e a volte qualche romanzo. Sul comodino ci sono sempre uno o due libri di poesia, il libro che sto leggendo, il Morandini. E c’è sempre quel libro che mi dico di “dover leggere” ma che poi rimane sempre lì fino a che un altro ne prende il posto…
Cochi e Renato "Il poeta e il contadino"
11 – La cosa più prosaica che fai per distrarti e quella più poetica.
Oh mio Dio che domanda. Non so come risponderti. La cosa più prosaica che faccio è guardare, molto poco spesso a dir la verità, le partite in televisione. Il calcio con tutti i suoi vizi e il suo “sporco” rimane una delle cose, nella società contemporanea, che più rimanda all’epica antica. Persino alla mitologia.
La cosa più poetica? Lo abbiamo detto in questa intervista, in fondo: ascoltare musica…
Matteo Chiavarone
Matteo Chiavarone si racconta. In prosa.
Esercizio difficile quello di raccontarsi da soli. Si dovrebbe partire da lontano, lontanissimi. Perché tutti prima di essere persone siamo sempre, o quasi sempre, intenzioni. C’è un anno di nascita, il 1982, una città in cui sono nato e vissuto, Roma, e ci sono i primi trenta anni che stanno arrivando anche troppo velocemente. Ci sono state scuole e c’è stata l’università, corso di laurea in Lettere. Due tesi, in quel gioco allucinante del nuovo ordinamento: una in Filologia, carteggio carducciano, una in Letteratura contemporanea sull’opera di Malaparte. Durante gli studi nel 2006 arrivano il primo lavoro nell’editoria (con la Giulio Perrone), i primi giornali (Ghigliottina e IlRecensore.com), il primo libro di poesie (Gli occhi di Saturno). Poi negli anni seguenti la creazione di Flanerì (poi lasciata), la collaborazione con l’Istituto di Politica, la direzione delle collane “Lab City Lights” (Perrone) e “InVersi”, la fondazione della casa editrice Ensemble. E ancora: una nuova raccolta, Blanchard Close (2011), la pubblicazione di un saggio su Malaparte nella rivista “RdP” e, ultimo, la curatela di “Con dolce curiosità – Tributo ad Andrea Zanzotto”.
Ringraziamo Matteo Chiavarone e siccome penso che una poesia non vada raccontata, ma letta, eccone un’altra da Blanchard Close.
XII (in-bestia)
Nuoti in un mare di giornali
esci dal grembo
ti penso figlia sei invece madre
donna senza volto
capelli dietro e davanti
hai gambe bianche
ma sono sporche di sangue
hai mani morbide
ma sono nascoste dal buio
hai persino un cuore dicono
ma è in attesa di battere
sei di carne e di terra
d’aria, secondo il momento.
Tratta da: “Blanchard Close”, Giulio Perrone, 2011.